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Emilio Gentile e il totalitarismo
(troppo vecchio per rispondere)
Arturo
2008-06-23 05:47:42 UTC
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In occasione della nuova edizione de La via italiana al totalitarismo
(Carocci), Gentile ripropone le sue tesi sul totalitarismo. Chi ha
frequentato i lavori di quello che è probabilmente lo studioso italiano
del fascismo più noto a livello mondiale naturalmente già le conosce ma
per gli altri (e per tutti) può essere interessante questo assaggio: un
confronto critico con la celeberrima opera di Hannah Arendt in un
articolo apparso sull'inserto domenicale del Sole 24 Ore di due
domeniche fa. Ve lo propongo:

Nel suo libro Le origini del totalitarismo, pubblicato nel 1951, Hannah
Arendt dedicava al fascismo poche e sparpagliate osservazioni, che
complessivamente superano appena la lunghezza di una pagina. Sui
seicentotrenta titoli elencati nella bibliografia, le pubblicazioni che
riguardano il fascismo, fra le migliaia di opere che pure erano
disponibili in tedesco, inglese o francese, nel periodo in cui la
studiosa tedesca compose il suo libro, non superano le dita di una mano,
e nessuna è una storia del fascismo o uno studio del suo sistema
politico. Nonostante ciò, poche interpretazioni del fascismo hanno avuto
tanta ampia e durevole influenza su molti studiosi che, nell'ultimo
mezzo secolo, si sono occupati del fascismo e del totalitarismo, quanto
l'interpretazione proposta da Arendt nell'ambito del suo studio sul
totalitarismo.
Un' analisi critica del giudizio della Arendt sul fascismo risulta
importante se consideriamo che tale giudizio ha segnato una svolta
decisiva nell'analisi e nell'interpretazione sia del fascismo sia del
totalitarismo, rispetto a tutte le precedenti interpretazioni, che erano
state elaborate nei decenni precedenti da studiosi come Luigi Sturzo,
Hans Kohn, Michael Florinsky, Raymond Aron, Alfred Cobban, Carlton
Hayes, Emil Lederer, Sigmund Neumann. Malgrado le loro differenti e
opposte ideologie, tutti questi studiosi, nella loro analisi del
totalitarismo, avevano considerato il fascismo un regime totalitario,
non perché tale il fascismo si proclamava, ma perché essi riscontravano
nel regime fascista le caratteristiche tipiche dei regimi a partito
unico sorti in Europa dopo la Prima guerra mondiale. Poiché il problema
del totalitarismo e il termine stesso hanno avuto origine dal fascismo,
la negazione del carattere totalitario del fascismo, asserita dalla
Arendt, investe l'intero problema del totalitarismo. Infatti, gran parte
delle idee fondamentali che costituiscono l'interpretazione del
totalitarismo elaborata dalla Arendt erano state già esposte dagli
studiosi citati, nessuno dei quali escludeva il fascismo dal
totalitarismo. L'unica novità, nell'interpretazione della Arendt, era la
definizione del terrore come la «vera essenza» della forma totalitaria
di governo. Il terrore non era ovviamente ignorato dai precedenti
studiosi del totalitarismo, ma nessuno di essi lo aveva considerato
l'essenza del totalitarismo.
La Arendt parla genericamente di movimenti totalitari e semitotalitari
sparsi nell'Europa dopo la Grande guerra, ma alla fine dalla sua analisi
emerge che il nazionalsocialismo era l'unico movimento totalitario,
mentre, sostiene senza esitazione la Arendt, la dittatura bolscevica,
fino al 1930, non fu la creatura di un movimento totalitario. Fu Stalin,
sostiene la studiosa, che trasformò «la dittatura di partito unico in un
regime totalitario», e soltanto a Stalin la Arendt attribuisce la colpa
di aver predisposto le condizioni per instaurare il totalitarismo,
pienamente sviluppato con il terrore di massa. Nel caso della Germania,
la Arendt sostiene invece che il nazionalsocialismo fu un movimento
totalitario fin dalle origini, ma divenne un regime totalitario soltanto
dopo il 1938, anzi, precisa la studiosa, lo divenne soltanto durante la
Seconda guerra mondiale, ma neppure allora fu un «totalitarismo
pienamente sviluppato» perché, spiega la Arendt, soltanto «se la
Germania avesse vinto la guerra avrebbe conosciuto una dittatura
totalitaria pienamente sviluppata». Così, neppure il nazionalsocialismo,
che secondo la Arendt fu l'unico movimento veramente totalitario prima
della conquista del potere, divenne mai un totalitarismo pienamente
sviluppato. Il rapporto fra movimento totalitario e regime totalitario,
nell'interpretazione della Arendt, rinlane oscurato da numerose
contraddizioni, che vanno oltre il caso della Russia e della Germania.
Infatti, occupandosi della Cina comunista la studiosa afferma che le
caratteristiche totalitarie del partito comunista cinese erano presenti
fin dall'inizio, e si inasprirono negli anni Sessanta durante il
conflitto russo cinese, e aggiunge che nel periodo iniziale della
dittatura comunista in Cina ci fu un terrore di massa che provocò circa
quindici milioni di vittìme, ma, precisa la studiosa, «se questo fu
terrore, e lo fu certamente, era un terrore diverso, e qualunque siano
stati i suoi risultati, non decimò la popolazione». Quindi, conclude,
non si poteva applicare al regime comunista cinese, nonostante quindici
milioni di vittime, l'attributo di totalitarismo autentico perché,
sostiene la Arendt, «il "pensiero" di Mao Tse-tung non seguiva nella
scia lasciata da Stalin (e da Hitler, in questo campo), perché non era
un assassino per istinto, e in lui il sentimento nazionalista, tipico in
tutti i movimenti di rivolta anticoloniale, fu forte abbastanza da porre
dei limiti al dominio totale».
In sostanza, nell'interpretazione della Arendt il totalitarismo appare
come una sorta di fenomeno intermittente, che appare e scompare, oppure
come una pianta che in un Paese, la Russia, nasce e cresce senza avere
radici; in un altro, la Germania, ha radici ma tarda a nascere e a
crescere; in un altro, l'Italia, non ha radici, non nasce e non cresce,
ma poi la studiosa lascia intendere che comunque il totalitarismo
sarebbe apparso anche in Italia dopo il 1938. In tal modo, però,
l'intera questione della natura dei movimenti totalitari, dei regimi
totalitari, delle loro somiglianze e differenze è avvolta in una nebbia
teorica, mentre emergono evidenti, chiari, netti e perentori
affermazioni e giudizi non preceduti, né accompagnati, né seguiti da
argomentazioni coerenti, e spesso fondati su dati storici inattendibili
o inesistenti.
Da queste considerazioni sorge un'ultima questione, forse la più
importante, perché investe l'intera interpretazione del totalitarismo
proposta dalla Arendt e il suo giudizio sul fascismo. Come abbiamo
visto, la studiosa tedesca ripeteva continuamente che il fascismo non
era totalitario. Tale giudizio è stato recepito da molti studiosi del
fascismo e del totalitarismo, che tuttora lo ripetono come fosse
un'interpretazione inconfutabile e definitiva, senza tener in nessun
conto i risultati della ricerca storica che ne ha da tempo dimostrato la
infondatezza. Ma tutti costoro trascurano di notare che la stessa Arendt
aveva posto le premesse per rimettere in questione il suo giudizio,
quando affermava che il fascismo non fu totalitario «fino al 1938».
Forse la Arendt intendeva, con questa precisazione, dire che il fascismo
dopo il 1938, adottando l'antisemitismo come ideologia di Stato,
trasformò la dittatura di «partito al di sopra dei partiti» in un regime
totalitario, come era accaduto in Russia dopo il 1930 e in Germania dopo
il 1938? E inoltre: se il partito bolscevico non era un movimento
totalitario, come poté diventare totalitario per l'iniziativa di un solo
individuo, e poi cessare nuovamente di essere totalitario dopo la morte
dello stesso individuo, come, secondo la Arendt, avvenne dopo la morte
di Stalin? Può un solo individuo dalla mente criminaIe trasformare in un
regime totalitario una dittatura di partito, nata da un movimento non
totalitario, senza trovare gli strumenti per la trasformazione nella
dittatura esistente, la quale, di conseguenza, non può essere esclusa
dal totalitarismo? E se il fascismo divenne totalitario dopo il 1938,
quali furono le radici e le cause di questa trasformazione: erano nel
movimento e nel regime fascista prima del 1938 o dipesero soltanto, come
in Russia, dalla volontà di un individuo?
Su tutte queste questioni, che sono decisive per comprendere la natura
del totalitarismo e il suo significato nella storia del Novecento, il
silenzio della Arendt è rimasto totale.

Saluti,
Arturo
Giuseppe
2008-07-01 08:54:31 UTC
Permalink
[..]un confronto critico con la celeberrima opera di Hannah Arendt in un
articolo apparso sull'inserto domenicale del Sole 24 Ore di due
Nel suo libro Le origini del totalitarismo, pubblicato nel 1951, Hannah
Arendt dedicava al fascismo poche e sparpagliate osservazioni, che
complessivamente superano appena la lunghezza di una pagina.
......
la negazione del carattere totalitario del fascismo, ..
terrore come la «vera essenza» della forma totalitaria
di governo. [...]
alla fine dalla sua analisi emerge che il nazionalsocialismo era
l'unico movimento totalitario, [....] Nel caso della Germania,
la Arendt sostiene invece che il nazionalsocialismo fu un movimento
totalitario fin dalle origini, ma divenne un regime totalitario soltanto
dopo il 1938, anzi, precisa la studiosa, lo divenne soltanto durante la
Seconda guerra mondiale, ma neppure allora fu un «totalitarismo
pienamente sviluppato» perché, spiega la Arendt, soltanto «se la
Germania avesse vinto la guerra avrebbe conosciuto una dittatura
totalitaria pienamente sviluppata». Così, neppure il nazionalsocialismo,
che secondo la Arendt fu l'unico movimento veramente totalitario prima
della conquista del potere, divenne mai un totalitarismo pienamente
sviluppato. Il rapporto fra movimento totalitario e regime totalitario,
........
Quel che bisogna chiedersi nel caso della Arendt, 'musa ispiratrice'
dell' "Essere e Tempo" di Heidegger (correggetemi se sbaglio), è se e
quanto tanta sua sottile disponibilità a distinguere e giustificare sia
legata alla sua vicenda personale e sia una sorta di tentativo del suo
inconscio di 'salvare' la sua storia giovanile con il filosofo, nonostante
l'adesione di questi al nazismo.

Fatto quest'ultimo, che non impedì alla Arendt di riprendere anche dopo
la guerra i rapporti con Heidegger, una seconda ed una terza volta,
nonostante gli sforzi di Jaspers, che aveva ormai intuito la natura del
rapporto tra i due.
[....] Può un solo individuo dalla mente criminaIe trasformare in un
regime totalitario una dittatura di partito, nata da un movimento non
totalitario, senza trovare gli strumenti per la trasformazione nella
dittatura esistente, la quale, di conseguenza, non può essere esclusa
dal totalitarismo? E se il fascismo divenne totalitario dopo il 1938,
quali furono le radici e le cause di questa trasformazione: erano nel
movimento e nel regime fascista prima del 1938 o dipesero soltanto, come
in Russia, dalla volontà di un individuo?
Su tutte queste questioni, che sono decisive per comprendere la natura
del totalitarismo e il suo significato nella storia del Novecento, il
silenzio della Arendt è rimasto totale.
Ne avrebbe probabilmente potuto scrivere di più e meglio se avesse
studiato a fondo e capito le opere giovanili, quelle a sfondo teologico-
metafisico ..fino e compreso il "Sein und Zeit", dell'adorato Martin.
Saluti,
Arturo
saluti,
Giuseppe De Cesaris
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