Arduino
2010-09-01 20:15:20 UTC
La tesi sostenuta nel volume "Salvare il salvabile. - La crisi armistiziale
dell'8 settembre 1943: per gli Italiani il momento delle scelte" (Edizioni
Nuova Cultura; Roma - 2010), di cui sono Autori Giorgio Prinzi e Massimo
Coltrinari, è quella che la disastrosa gestione dell'Armistizio dell'8
settembre 1943, fu dovuta al fatto che la fazione filo germanica del vertice
politico militare del tempo, con il probabile avallo del sovrano, intendeva
le trattative armistiziali intraprese e portate avanti dalla fazione
favorevole allo sganciamento dell'Italia dall'Asse, inteso come un vero e
proprio cambio di fronte, come strumentali ad un piano, almeno in parte
condiviso dai tedeschi, volto a carpire informazioni, attirarli in una
trappola e ributtarli a mare con conseguenze dirette sulla tenuta, in quel
periodo labile e vacillante, del fronte interno e sull'evoluzione stessa del
conflitto in generale.
A giudizio degli autori l'errore sistematico, che con questo volume vorrebbe
superare, è che sinora gli avvenimenti relativi all'armistizio dell'8
settembre 1943 e agli eventi che ne seguirono sono stati giudicati con il
senno del poi, nell'ottica della situazione venutasi a creare nel dopoguerra
e del clima culturale dominante. Questa è un'ottica che i protagonisti del
tempo non potevano avere, pertanto il loro approccio logico doveva
inevitabilmente essere differente, persino sui risultati finali del
conflitto, che la classe dirigente nazista era convinta di potere ancora
volgere a proprio favore.
Gli italiani erano stati informati dello sforzo per realizzare risolutive
"armi segrete" proprio nella riunione di Feltre del 19 luglio 1943, giorno
del bombardamento del quartiere San Lorenzo di Roma. Mussolini, in quell'occasione,
rimase a tal punto affascinato e succube dell'esposizione di Hitler da non
fare cenno alcuno all'intenzione che stava maturando in alcuni ambienti
italiani di uscire dal conflitto. Questo fu probabilmente determinante a
creare un clima favorevole a un suo avvicendamento, che come abbiamo visto
fu equivoco (la guerra continua) e finalizzato alla tenuta del fronte
interno e al mantenimento dell'ordine pubblico.
Se il doppio gioco di Badoglio, del quale parla Churchill, doveva avvenire
ai danni degli angloamericani e non dei Tedeschi, molte delle cose
incomprensibili e non ancora chiarite di quei giorni possono venire riviste
sotto nuova luce e persino razionalmente spiegate. In questo volume si
avanza l'ipotesi dell'inganno strategico ovvero attirare in una trappola gli
Alleati, farli sbarcare, fingere inizialmente di combattere e poi o decidere
la resa, rispettando i patti, oppure ributtarli a mare, con i Tedeschi
compartecipi del disegno. Forse diffidavano, ma in questo caso le
assicurazioni di Badoglio e di Vittorio Emanuele a Rahn devono venire lette
sotto un'ottica diversa da quella corrente, che attribuisce loro un'incredibile
faccia di bronzo. Gli avvenimenti cominciarono a precipitare solo nel
pomeriggio dell'8 settembre, quando apparve chiaro che Eisenhower non era
disponibile a sentire ragioni e che la parte italiana doveva "prendere o
lasciare", cioè continuare il gioco pericolosamente oltre il previsto,
avallando uno strumentale armistizio, oppure denunziare gli accordi di
Cassibile, ma compromettere la fase cruciale dell'inganno strategico che
avrebbe dovuto concretizzarsi entro pochi giorni.
Altro punto che sembra accreditare la nostra tesi, ed in particolare che la
cosiddetta "fuga da Roma" avesse inizialmente come meta Chieti e non
Brindisi, è l'atteggiamento tenuto dai membri della comitiva regia nella
sosta presso i duchi di Bovino, dai quali si erano recati a pranzo. Il
Sovrano, che fece notare di avere nel portafogli una somma di poco superiore
alle mille lire dell'epoca, il duca d'Acquarone, che confessò di avere con
se solo il vestito che indossava, Badoglio che rafforzò le sue convinzioni
con un riferimento alle sue origini piemontesi, tutti ribadirono; e con
enfasi, che l'allontanamento da Roma sarebbe stato un evento di pochi
giorni. Sono affermazioni incomprensibili, addirittura da scriteriati, se le
si giudica alla luce di come sappiamo andarono a finire le cose; al
contrario, se le si interpreta alla luce della nostra tesi, che la
cosiddetta "fuga da Roma" doveva essere, portandosi al limite del versante
opposto dell'Appennino, un prudenziale allontanamento dalla costa tirrenica
e dall'area di Roma dove avrebbe dovuto infuriare - così si pensava - una
violenta battaglia aeronavale e terrestre per respingere più teste di ponte
di un massiccio sbarco previsto in forze, allora queste strane e sinora
illogiche affermazioni di ottimismo acquistano significato e soprattutto si
spiegano in maniera logica e pertinente. Il volume presenta questa tesi che
può essere accettata o meno, ma con l'ottica che alla fine di questi inganni
reciproci, si dissolse ogni potere per la Monarchia e per gli Italiani
arrivò il momento delle scelte, dalle quali si creò l'architettura della
Guerra di Liberazione
dell'8 settembre 1943: per gli Italiani il momento delle scelte" (Edizioni
Nuova Cultura; Roma - 2010), di cui sono Autori Giorgio Prinzi e Massimo
Coltrinari, è quella che la disastrosa gestione dell'Armistizio dell'8
settembre 1943, fu dovuta al fatto che la fazione filo germanica del vertice
politico militare del tempo, con il probabile avallo del sovrano, intendeva
le trattative armistiziali intraprese e portate avanti dalla fazione
favorevole allo sganciamento dell'Italia dall'Asse, inteso come un vero e
proprio cambio di fronte, come strumentali ad un piano, almeno in parte
condiviso dai tedeschi, volto a carpire informazioni, attirarli in una
trappola e ributtarli a mare con conseguenze dirette sulla tenuta, in quel
periodo labile e vacillante, del fronte interno e sull'evoluzione stessa del
conflitto in generale.
A giudizio degli autori l'errore sistematico, che con questo volume vorrebbe
superare, è che sinora gli avvenimenti relativi all'armistizio dell'8
settembre 1943 e agli eventi che ne seguirono sono stati giudicati con il
senno del poi, nell'ottica della situazione venutasi a creare nel dopoguerra
e del clima culturale dominante. Questa è un'ottica che i protagonisti del
tempo non potevano avere, pertanto il loro approccio logico doveva
inevitabilmente essere differente, persino sui risultati finali del
conflitto, che la classe dirigente nazista era convinta di potere ancora
volgere a proprio favore.
Gli italiani erano stati informati dello sforzo per realizzare risolutive
"armi segrete" proprio nella riunione di Feltre del 19 luglio 1943, giorno
del bombardamento del quartiere San Lorenzo di Roma. Mussolini, in quell'occasione,
rimase a tal punto affascinato e succube dell'esposizione di Hitler da non
fare cenno alcuno all'intenzione che stava maturando in alcuni ambienti
italiani di uscire dal conflitto. Questo fu probabilmente determinante a
creare un clima favorevole a un suo avvicendamento, che come abbiamo visto
fu equivoco (la guerra continua) e finalizzato alla tenuta del fronte
interno e al mantenimento dell'ordine pubblico.
Se il doppio gioco di Badoglio, del quale parla Churchill, doveva avvenire
ai danni degli angloamericani e non dei Tedeschi, molte delle cose
incomprensibili e non ancora chiarite di quei giorni possono venire riviste
sotto nuova luce e persino razionalmente spiegate. In questo volume si
avanza l'ipotesi dell'inganno strategico ovvero attirare in una trappola gli
Alleati, farli sbarcare, fingere inizialmente di combattere e poi o decidere
la resa, rispettando i patti, oppure ributtarli a mare, con i Tedeschi
compartecipi del disegno. Forse diffidavano, ma in questo caso le
assicurazioni di Badoglio e di Vittorio Emanuele a Rahn devono venire lette
sotto un'ottica diversa da quella corrente, che attribuisce loro un'incredibile
faccia di bronzo. Gli avvenimenti cominciarono a precipitare solo nel
pomeriggio dell'8 settembre, quando apparve chiaro che Eisenhower non era
disponibile a sentire ragioni e che la parte italiana doveva "prendere o
lasciare", cioè continuare il gioco pericolosamente oltre il previsto,
avallando uno strumentale armistizio, oppure denunziare gli accordi di
Cassibile, ma compromettere la fase cruciale dell'inganno strategico che
avrebbe dovuto concretizzarsi entro pochi giorni.
Altro punto che sembra accreditare la nostra tesi, ed in particolare che la
cosiddetta "fuga da Roma" avesse inizialmente come meta Chieti e non
Brindisi, è l'atteggiamento tenuto dai membri della comitiva regia nella
sosta presso i duchi di Bovino, dai quali si erano recati a pranzo. Il
Sovrano, che fece notare di avere nel portafogli una somma di poco superiore
alle mille lire dell'epoca, il duca d'Acquarone, che confessò di avere con
se solo il vestito che indossava, Badoglio che rafforzò le sue convinzioni
con un riferimento alle sue origini piemontesi, tutti ribadirono; e con
enfasi, che l'allontanamento da Roma sarebbe stato un evento di pochi
giorni. Sono affermazioni incomprensibili, addirittura da scriteriati, se le
si giudica alla luce di come sappiamo andarono a finire le cose; al
contrario, se le si interpreta alla luce della nostra tesi, che la
cosiddetta "fuga da Roma" doveva essere, portandosi al limite del versante
opposto dell'Appennino, un prudenziale allontanamento dalla costa tirrenica
e dall'area di Roma dove avrebbe dovuto infuriare - così si pensava - una
violenta battaglia aeronavale e terrestre per respingere più teste di ponte
di un massiccio sbarco previsto in forze, allora queste strane e sinora
illogiche affermazioni di ottimismo acquistano significato e soprattutto si
spiegano in maniera logica e pertinente. Il volume presenta questa tesi che
può essere accettata o meno, ma con l'ottica che alla fine di questi inganni
reciproci, si dissolse ogni potere per la Monarchia e per gli Italiani
arrivò il momento delle scelte, dalle quali si creò l'architettura della
Guerra di Liberazione