[cut]
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoPost by Remo Gualerzi BarazzoniRipeto, i colpi di Churchill erano proprio sparati contro quei
"dannati dervisci" che avevano tenuto in scacco l'impero britannico,
fino a uccidere e a decapitare un suo eroico condottiero, il
cristianissimo generale Gordon. L'imperativo eccitante non era tanto
"sconfiggere un nemico", quanto "liberare Karthoum". Impero
britannico guidato da Kitchener contro torme islamiche del Mahdi. Mi
sono spiegato? Non togliamo a Churchill la sua specifica narrazione
storica, per favore.
Sì, ho capito e conosco gli antefatti di quegli eventi e le opinioni
di di un giovane ufficiale che di lì a poco si sarebbe candidato col
partito conservatore e ripeto: e allora? Cancella il fatto che si
trattava di un'azione militare contro soldati nemici?
Ma bene! E' come se tu dicessi in giro che Tizio, incontrando il figlio
dopo anni di lontananza, semplicemente "ha incontrato un uomo". Sarebbe
un'informazione completa e attendibile per qualcuno che non ha assistito
all'incontro? Allo stesso modo confondi le informazioni che ci ha
voluto lasciare Churchill.
Siamo in un ng di storia e gli antefatti del colonialismo britannico in
Sudan non sono eventi privati: non credo sia dovere degli utenti
prodursi in digressioni urbis et orbi ad ogni stormir di argomento;
soprattutto quando non mi è affatto chiaro in quali termini la mancata
ripetizione di vicende (che si spera) note a tutti confonderebbero
quanto scritto da Churchill.
[cut]
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoPost by Remo Gualerzi BarazzoniHo voluto solamente dire che se per Churchill confessare di aver
sparato in faccia ai dervisci fosse stato motivo di vergogna, o non
l'avrebbe scritto o avrebbe addotto qualche giustificazione.
Guarda che la citazione, a me pare, è tratta da una lettera ad
Hamilton, cioè da una comunicazione privata.
Ma anche con gli amici e collaboratori Churchill generalmente si
presentava sempre come uomo pubblico, i cui scritti e messaggi erano
destinati alla posterità non meno dei libri e delle orazioni ufficiali.
Si può dubitare che a vent'anni possedesse già tanta lungimiranza
"public relationalist".
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoPost by Remo Gualerzi BarazzoniCerco semplicemente di capire il perchè ha preferito sparare in
faccia - un gesto, ripeto, non dignitoso a quel tempo (secondo me) -
e perchè ha scelto di scriverlo senza giri di parole.
Perché la riteneva una bella avventura: mi pare la spiegazione più semplice.
Completo la tua interpretazione: perché la riteneva una bella avventura
e perché non si rendeva conto di scivolare con gli altri verso il più
truce colonialismo (che in quel caso ebbe un suo specifico epilogo
nell'ordine di Kitchener di uccidere i dervisci feriti e di mozzare la
testa al cadavere del Mahdi). Anche il "non rendersi conto" fa parte del
flusso della storia. Il ravvedimento contro Kitchener ci fu, ma quasi
inutile. Qualcuno avrebbe potuto dirgli: "Winston, a Omdurman ti sei
divertito e hai sparato all'impazzata, che vuoi di più?"
In queste poche righe c'è tutto ciò che ci separa: l'uso di un lessico
moraleggiante; la fantasiosa idea di un inevitabile slippery slop
coloniale; la caratterizzazione dell'atteggiamento di Churchill in
termini di (tardivo) "ravvedimento". La verità è che non c'è nessun
ravvedimento: come disse alla madre (cito sempre da Gilbert) "la
vittoria di Ombdurman fu disonorata dal massacro inumano dei feriti".
Non si vede in ciò nessun ripensamento della guerra o del colonialismo
in quanto tali ma semplicemente un diverso modo di intenderli. Questo
pluralismo di atteggiamenti è proprio ciò che il tuo appiattimento su
un'unica linea di giudizio in termini di "trucidità" impedisce di vedere
- anzi: finisce addirittura per negarne reale consistenza (insomma: se i
fatti danno torto ai nostri moralismi, peggio per i fatti!) - e che
invece in una prospettiva storica va adegutamente valorizzato, tanto più
quando se ne analizza un frammento, come nel caso della biografia di uno
dei personaggi coinvolti. Poi, per carità, starcene seduti in poltrona a
crogiolarci nel nostro autocompiacimento morale di uomini del XXI secolo
privi di responsabilità politiche e puntare il ditino sdegnato è
l'esercizio più facile di questo mondo; mi pare però anche il più
inutile e il meno interessante.
[cut]
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoPost by Remo Gualerzi Barazzonima dopo non venirmi a dire che il colonialismo nazionalistico di fine
'800, il fascismo e il nazismo espansionisti e aggressivi non hanno
avuto una qualche ispirazione anche dal colonialismo imperiale
britannico.
Ho letto la Arendt e non sarò certo io a negarlo ma non si può certo
gettare la croce del colonialismo britannico su Churchill; si può, o
forse si deve, prendere atto dell'esistenza del colonialismo e
valutare i comportamenti e le sensibilità del nostro alla luce di tale
contesto.
Insomma, siamo più o meno di nuovo alla massima "i senatori sono bravi
signori, il senato é una brutta bestia".
Questa sovrapposizione delle ragioni della storia a quelle della
contestazione politica mi pare sintomatica.
Post by Remo Gualerzi BarazzoniDavvero non ti seguo in questo
tuo assurdo lealismo cantimoriano.
Uno dei più begli "insulti" che abbia mai ricevuto su Usenet: grazie! :-)
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoPost by Remo Gualerzi BarazzoniPerfino Roosevelt, quando nel 1919 come viceministro della Marina USA
incontrò Churchill, rimase fortemente indispettito perchè avvertì
nello sguardo dello statista inglese la gloria prestigiosa ed
esclusiva della dimensione imperiale. Fu preso da un moto di collera.
La febbre imperiale, di lì a poco, avrebbe contagiato l'Europa e
l'Estremo Oriente, peggio della febbre spagnola. L'Impero era la
realizzazione della dimensione del <<grandioso>> in politica, che da
Sargon il Grande in poi significava eguagliare la potenza divina
attraverso la conquista estesa "ai quattro angoli della Terra"
(espressione mesopotamica). Ti par poco?
No, mi pare troppo, nel senso che mi pare eccessivo voler scaricare
tutto il peso di questa rievocazione sulle spalle di Churchill, in
modo tra l'altro un po' approssimativo rispetto al concreto
svolgimento degli eventi storici.
Ma chi vuole "scaricare tutto il peso di questa rievocazione sulle
spalle di Churchill"? Si tratta di riconoscere il suo ruolo oggettivo,
la sua importanza e la sua responsabilità derivanti dall'essere stato
uno tra i più influenti politici e uomini di cultura nell'Inghilterra
della prima metà del '900. E mi pare che tu invece voglia considerarlo
un qualsiasi Mr. Smith che si adatta passivamente alle mode dominanti,
tutto bastone e bombetta.
Beh, all'epoca della guerra in Sudan, sì, era poco più di un tenente
Smith qualunque (e prima di tutto di quella si stava parlando, o no?).
Successivamente, la sua importanza varia secondo i tempi, ma certo la
precondizione per quell'importanza è stata proprio l'esser stato, in
parte, intriso di quella certa mentalità (il termine moda mi sembra un
tantino riduttivo): trovo assurdo rimproverargli di non aver fatto della
sua popolarità un uso che gli avrebbe impedito di conquistarla. Bisogna
invece prendere atto dell'esistena di quel contesto (ci piaccia o meno)
di cui era figlio (le figure profetiche scarseggiano, Remo) e valutare
il suo operato, la sua "attività", in relazione ad esso.
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoA parte il paragone, evidentemente anacronistico, tra l'Impero
accadico e quello inglese, non è certo stata una generica "febbre" -
la responsabilità della quale sarebbe equamente ripartita - a
trascinare l'Europa nelle trincee ma prima di tutto le scelte della
"classe dirigente tedesca" "ben decisa a entrare in guerra, per
rafforzare definitivamente il rango tedesco, e anche per consolidare
il loro potere minacciato." (G. Corni, Storia della Germania, Il
Saggiatore, Milano, 1995, pag. 124).
Riferendomi al primo dopoguerra (dopo l'incontro tra i due statisti del
1919) avevo presente ovviamente il superimperialismo nazifascista e
nipponico degli anni '30 e '40.
(Scusa, hai ragione, è che era un'idea poco consona alla linea di
ragionamento che stavo seguendo). Dunque, si può certamente riscontrare
un'analogia tra la mentalità sottesa all'imperialismo tedesco, fascista
(su quello giapponese preferisco non pronunciarmi) e quello coloniale
classico. Ma ci sono da fare parecchie riserve e precisazioni. La prima
la traggo dallo storico che recentemente ha più seguito questa linea di
interpretazione, vale a dire Enzo Traverso: lo storico alessandrino
rileva che lo scopo prioritario del nazismo "era l'allargamento, su basi
biologico-razziali, del dominio tedesco. Non si trattava soltanto di
conquistare dei territori, si trattava soprattutto di germanizzarli.
L'eugenismo e il razzismo erano, per il nazismo, molto di più che una
giustificazione e una copertura ideologica della propria politica di
conquista, ne erano il motore." (Enzo Traverso, La violenza nazista. Una
genealogia, Il Mulino, Bologna, 2002, pag. 87). Anche l'imperialismo
italiano era diverso da quello coloniale classico, dal momento che
"Mussolini volle l'aggressione dell'Etiopia per un'affermazione di
prestigio immediato, più che per lo sviluppo di un imperialismo meditato
secondo interessi nazionali di ampio respiro. La proclamazione
dell'impero nasceva dalla stessa logica, mancavano notizie, studi e
piani, mancava soprattutto una cultura coloniale: la decisione del duce
di impiantare l'impero rifiutando ogni collaborazione con la classe
dirigente abissina rispondeva a slogan ad effetto - "L'impero non si
governa a mezzadria", "Nessun potere ai ras" - possibili soltanto per
l'assoluta ignoranza che Mussolini e il consigliere e (poi ministro
dell'Africa italiana) Lessona avevano della realtà etiopica [...] (G.
Rochat, Le guerre del fascismo in Storia d'Italia Einaudi, Guerra e
pace, vol. II, Einaudi, Torino, 2002, pagg. 705-706). Quanto ai rapporti
internazionali, la differenza tra le small wars otto e
primonovecentesche e le manovre mussoliniane prima e l'assalto
all'Europa hitleriano poi mi pare così evidente da non meritare
particolari approfondimenti. Merita però sottolineare che il dispiegarsi
di tale imperialismo fu intrapreso, almeno in Europa (ripeto: sul
Giappone non me la sento di intervenire), da parte di stati totalitari,
le cui religioni politiche coltivavano un culto della forza e della
superiorità in misura e forme del tutto inedite e non si tratta di meri
accidenti, né tale può essere definita la convinta difesa della
democrazia che animò sempre l'azione politica di Churchill.
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by ArturoSe poi vogliamo sottolineare che Churchill voleva conservare l'impero,
abbiamo scoperto l'acqua calda, ma a parte il fatto che un politico
ben intenzionato a sbarazzarsene difficilmente avrebbe avuto una
carriera paragonabile al nostro, la valutazione deve tenere conto
degli atti in cui questo atteggiamento si è concretizzato. Per es. fu
Churchill che portò avanti le trattive per l'Irish Treaty col Sinn
Fein, sfidando le accuse di tradimento dell'ideale imperiale che gli
piovvero sul capo dal partito conservatore;
E già, perché in realtà Churchill era talmente convinto della bontà
dell'impero, da battersi perché i colonizzati vi si trovassero a loro agio.
E potessero avviare un primo esperimento di autogoverno (che immagino
dalla tua prospettiva risulti irrilevante).
Post by Remo Gualerzi BarazzoniIntanto però gli irlandesi furono nuovamente soggiogati.
L'Irish Free State fu il primo esperimento di autogoverno dell'Iralanda
e se non concedeva libertà completa dava comunque la possibilità di
raggiungerla come (questa volta sì) profeticamente osservò all'epoca
Collins. Non è che il fatto di trovarti sulle stesse posizioni della
frangia più intransigente dell'IRA ti fa sorgere il dubbio che lo sdegno
ti stia spingendo a un lievissimo eccesso di ideologismo?
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPost by Arturoe allo stesso modo fu lui a scartare la possibilità di una convivenza
che garantiva l'impero inglese con Hitler, come voleva una parte non
piccola del suo stesso partito.
Ma perché era convinto che nessun tipo di accordo con un Hitler futuro
padrone dell'Europa potesse minimamente garantire l'impero britannico.
Avvertiva, a ragione, la sindrome di Nelson. Ancora una volta, lottò
contro Hitler per la salvezza dell'Isola e dell'impero.
Già, però, guarda un po', nemmeno uno scontro con Hitler era esente da
rischi, tanto più dopo la caduta della Francia. Ma immagino che anche
questa valutazione dei rischi (che nasceva pure da un autentico disgusto
morale verso il nazismo, almeno questo credo si possa concederglielo) e
il favore per un sistema di sicurezza europeo vedano relegati nel regno
dell'irrilevante, in nome dell'antimperialismo. Contento tu.
Post by Remo Gualerzi BarazzoniPur avendo giudicato fuoritempo l'impresa etiopica del duce, non riuscì
a scorgere tutti i sintomi di crisi nel suo stesso impero e continuò a
operare come nell''800 (come nel caso della stramba creazione dell'Iraq
con l'assemblaggio di territori e popoli disomogenei).
Questa mi pare un'osservazione discutibile. Sono d'accordo che la
creazione dell'Iraq fu una prova fallimentare (qualcuno di recente ha
parlato di follia) ma non mi pare proprio di vedere un'analogia con
l'800 visto che il nostro era comunque favorevole a un disimpegno. Il
raffronto con l'impresa mussoliniana mi pare infine improprio per
ragioni che credo arguibili dal resto del post.
Saluti,
Arturo