Alessandro Selli
2008-08-05 22:21:07 UTC
Questo articolo è probabilmente un po' fuori tema in
it.cultura.orientale. Vogliate prenderlo allora, in occasione del 63º
anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima, come un omaggio ad
un popolo orientale che, ad epilogo di una guerra che lo vide anche
carnefice, subì alla fine una tale tragedia per mero calcolo di
convenienza politico-economica. Tanto non dovrebbe destare grande
sorpresa, che è soprattutto per questo che si combattono le guerre, al
di là dello strombazzamento della propaganda ufficiale.
http://alessandro.route-add.net/Testi/Altro/bombardamento_atomico_giappone.html
Articolo originalmente pubblicato domenica 6 agosto 2006 da
CommonDreams.org, http://www.commondreams.org/views06/0806-25.htm
Tradotto da Alessandro Selli; ultima revisione: 22 luglio 2008
Era necessario il bombardamento atomico del Giappone?
di Robert Freeman
Poche discussioni riguardo eventi della storia degli Stati Uniti -
forse solo lo schiavismo - sono tanto animati come quello dell'uso delle
bombe atomiche sul Giappone. Era necessario? Il solo fare questa
domanda provoca indignazione, persino rabbia. Si prenda ad esempio il
clamore isterico sorto intorno alla mostra del 1995 dello Smithsonian
che aveva semplicemente osato discutere il tema a cinquant'anni dal
fatto. Oggi, dopo altri undici anni, gli statunitensi hanno ancora
difficoltà a guardare in faccia la verità su quelle bombe.
Ma la rabbia non è una tesi. L'isteria non è la storia. La
decisione di sganciare la bomba è stata sottoposta al lavaggio della
fabbrica americana di miti tanto da essere trasformata a volontà:
dall'autoconservazione degli statunitensi ad una preoccupazione nei
confronti degli stessi giapponesi, come se l'incinerazione di
duecentomila esseri umani in un secondo possa essere stato per qualche
ragione un atto di generosità morale.
Eppure la domanda non si estinguerà, né deve farlo: l'uso delle bombe
atomiche su Hiroshima e Nagasaki è stata una necessità militare? Era
giustificabile questa decisione dall'imperativo della salvaguardia di
vite umane, o dietro c'erano altre ragioni?
La domanda sulla necessità militare può essere messa a tacere
rapidamente. "Il Giappone era già militarmente sconfitto e l'uso della
bomba era completamente inutile." Queste non sono le parole di uno
storico revisionista postumo o di uno scrittore di sinistra. Certamente
non sono le parole di qualcuno preso dall'odio per gli Stati Uniti.
Sono le parole di Dwight D. Eisenhower, Comandante Supremo delle Forze
Alleate in Europa e futuro presidente degli Stati Uniti d'America.
Eisenhower sapeva, come lo sapeva l'intero corpo degli ufficiali
superiori degli Stati Uniti, che verso la metà del 1945 il Giappone era
privo di difese.
Dopo la distruzione della flotta giapponese nel golfo di Leyte
nell'ottobre del 1944, gli Stati Uniti potevano bombardare incontrastati
le città del Giappone, come fecero con gl'infernali bombardamenti
incendiari di Tokyo e Osaka. Questo è quello che intendeva Henry H.
Arnold, Comandante generale dell'Aeronautica militare degli Stati Uniti,
quando dichiarò che "la situazione dei giapponesi era disperata perché
ancora prima del lancio della prima bomba atomica i giapponesi avevano
perso il controllo del loro proprio spazio aereo." Inoltre, senza una
propria marina militare, un Giappone povero di risorse autonome aveva
perso la capacità di importare il cibo, il carburante e i rifornimenti
industriali necessari a portare avanti una guerra mondiale.
Consci dell'evidente futilità della loro difesa i giapponesi
contattarono i russi per ottenere il loro aiuto nel negoziare una pace
che mettesse fine alla guerra. Gli Stati Uniti avevano già da tempo
imparato a decodificare le trasmissioni giapponesi e sapevano che tali
negoziati erano in corso, sapevano che i giapponesi erano mesi che
cercavano un modo [accettabile] di arrendersi.
L'ammiraglio di squadra navale Chester W. Nimitz, comandante in capo
della flotta USA del pacifico, evidenziava questo fatto quando scriveva
che "I giapponesi avevano infatti già chiesto la pace. La bomba atomica
non ebbe alcun ruolo decisivo, da un punto di vista puramente militare,
nella sconfitta del Giappone." L'ammiraglio William D. Leahy, Capo del
gabinetto del presidente Truman, disse la stessa cosa: "L'uso de[lle
bombe atomiche] a Hiroshima e Nagasaki non fu di alcun beneficio pratico
nella nostra guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già
sconfitti e pronti alla resa."
Le autorità civili, in particolar modo lo stesso Truman, avrebbero in
seguito tentato di riscrivere la storia sostenendo che le bombe fossero
state sganciate per salvare le vite di un milione di soldati USA. Ma
non esiste nessuna circostanza concreta a sostegno di questa tesi in
qualsiasi documento dell'epoca. Al contrario, la 'Analisi dei
bombardamenti strategici' degli Stati Uniti rilevava che "Certamente il
Giappone si sarebbe arreso prima del 31 dicembre 1945, e con ogni
probabilità prima del 1° novembre 1945, anche se le bombe atomiche non
fossero state sganciate." La data del primo novembre è importante
perché quella era la prima data utile dell'invasione statunitense delle
isole giapponesi che era stata pianificata.
In altre parole, l'opinione virtualmente unanime e condivisa dei
comandanti di lunga esperienza e più informati delle forze militari
statunitensi non lasciava spazio a dubbi: non c'era alcuna urgente
necessità militare di sganciare le bombe atomiche sul Giappone.
Ma se l'impiego delle bombe non fu dettato da necessità militari,
allora perché furono usate? La risposta emerge quando si considera
l'atteggiamento degli U.S.A. nei confronti dei russi, come la guerra era
finita in Europa e la situazione in Asia.
Da tempo i leader degli U.S.A. avevano in odio il governo comunista
russo. Nel 1919 gli U.S.A. avevano condotto un'invasione in Russia, la
famigerata "Contro-Rivoluzione Bianca", nel tentativo di battere la
rivoluzione rossa bolshevika che aveva portato i comunisti al potere nel
1917. L'invasione fallì e gli U.S.A. non riconobbero diplomaticamente
la Russia fino al 1932.
Poi, durante la Grande Depressione, quando l'economia degli U.S.A.
crollò, l'economia russa era invece in espansione esplosiva, essendo
cresciuta di quasi il 500%. I leader degli U.S.A. temevano che con la
fine della guerra il paese potesse cadere di nuovo preda di una
depressione. E la seconda guerra mondiale non fu vinta dal sistema
lassista americano, ma da quello verticistico, di dirigenza e controllo
sull'economia che rappresentava il sistema russo. In altre parole, il
sistema russo sembrava funzionare mentre quello americano soffriva dal
recente crollo e da una dubbia fiducia in se stesso.
Inoltre per sconfigere la Germania l'esercito russo era giunto a
Berlino attraversando l'Europa orientale. Aveva occupato e posto sotto
il suo controllo 150.000 miglia quadrate [388 mila chilometri quadrati,
NdT] di territorio nelle odierne Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria,
Romania, Bulgaria e Yugoslavia. A Yalta, nel febbraio del 1945, Stalin
aveva chiesto di tenere il controllo di questo territorio di nuova
occupazione. La Russia, Stalin giustamente osservava, era stata
ripetutamente invasa dagli europei dell'ovest, da Napoleone ai tedeschi
nella prima guerra mondiale e in ultimo da Hitler. La Russia aveva
perso oltre 20 milioni di vite nella seconda guerra mondiale e Stalin
voleva una zona cuscinetto contro ulteriori invasioni.
A questo punto, nel febbraio del 1945, gli Stati Uniti non sapevano
se la bomba avrebbe funzionato oppure no. Ma è fuor di dubbio che
avevano bisogno dell'aiuto della Russia per portare a termine sia la
guerra in Europa che quella nel pacifico. [Il presidente] Roosevelt non
aveva perso di vista queste necessità militari: senza un esercito capace
di affrontare quello di Stalin in Europa e anzi in necessità dell'aiuto
di Stalin, Roosevelt concesse l'Europa orientale, mettendo in mano ai
russi la più grande conquista territoriale della guerra.
Come ultimo punto, e forse più importante di tutti, Stalin concordò a
Yalta che una volta finita la guerra in Europa avrebbe fatto transferire
le sue forze dall'Europa all'Asia per entrare entro 90 giorni in guerra
nel Pacifico contro il Giappone. È a questo punto che le date diventano
criticamente importanti. La guerra in Europa finì l'otto maggio del
1945. L'otto maggio più 90 giorni fa l'otto agosto. Avessero voluto
gli U.S.A. impedire alla Russia l'occupazione di altro territorio
nell'Asia orientale così come aveva occupato i territori dell'Europa
orientale, dovevano far finire questa guerra nel più breve tempo possible.
Questo problema territoriale dell'Asia orientale era specialmente
rilevante perché prima della guerra contro il Giappone la Cina era
piombata in una guerra civile interna. Ad affrontarsi erano i
nazionalisti guidati dal generale Chiang Kai Shek con l'aiuto degli
Stati Uniti e i comunisti guidati da Mao Ze Dong. Si fosse permessa
alla Russia comunista la conquista di altro territorio nell'Asia
orientale, avrebbe messo la sua considerevole potenza militare a
disposizione di Mao, il che avrebbe portato quasi sicuramente alla
vittoria i comunisti una volta finita la guerra mondiale e riavviata la
guerra civile.
Una volta dimostrata la funzionalità della bomba il 15 luglio 1945,
gli eventi si inseguirono con una urgenza furiosa. Non c'era tempo per
negoziare con i giapponesi. Ogni giorno di ritardo voleva dire altra
terra persa alla Russia e, quindi, una maggiore probabilità di una
vittoria comunista nella guerra civile cinese. Tutta l'Asia avrebbe
potuto diventare comunista. Sarebbe stata una catastrofe strategica per
gli U.S.A. conseguire la vittoria nella guerra contro i fascisti per poi
finire col cederla nelle mani dei suoi altri nemici giurati, i
comunisti. Gli U.S.A. dovevano arrivare alla fine della guerra non in
mesi, neanche in settimane, ma in giorni.
E così il 6 agosto 1945, due giorni prima che spettasse ai russi di
dichiarare guerra al Giappone, gli Stati Uniti sganciarono la bomba su
Hiroshima. Le forze statunitensi sul campo, in attesa di una risposta
giapponese alla richiesta di resa, non correvano alcun pericolo. La
prima data pianificata per l'invasione delle isole giapponesi era ancora
tre mesi da venire e gli U.S.A. avevano sotto controllo il calendario di
tutte le operazioni belliche nel Pacifico. Ma la faccenda russa
incombeva e dettò il calendario. E così, solo tre giorni più tardi, gli
U.S.A. sganciarono la seconda bomba su Nagasaki. I giapponesi si
arrenderono il 14 agosto 1945, otto giorni dopo l'esplosione della prima
bomba.
Il Maggior Generale Curtis LeMay disse a proposito dell'uso della
bomba: "La guerra sarebbe finita nel giro di due settimane senza che i
russi vi avessero partecipato e senza la bomba atomica. La bomba
atomica non ha avuto nulla a che fare con la fine della guerra, per
niente." Tranne che per aver accelerato drasticamente la fine della
guerra per impedire ai russi [la conquista di altro] terreno nell'Asia
orientale.
La storia della necessità militare, goffamente messa in piedi in
fretta e furia dopo la fine della guerra, semplicemente non regge di
fronte alla soverchia realtà della situazione militare dell'epoca dei
fatti. Dall'altra parte, l'uso della bomba per limitare l'espansionismo
russo e per rendere i russi, come ebbe ad esprimersi in termini
rivelatori Truman, "più malleabili", si conforma appieno con tutti i
fatti noti, in particolar modo con le motivazioni e gli interessi degli
U.S.A..
Quale storia dovremmo accettare, quella che non sta in piedi ma è
stata santificata come dogma nazionale? Oppure quella che invece sta in
piedi e però mortifica la nostra presunzione? La nostra risposta
testimonierà della nostra maturità e capacità di essere
intellettualmente onesti.
A volte è difficile per un popolo conciliare la propria storia con le
mitologie nazionali, le mitologie dell'eterna innocenza e della
rettitudine che discende dalla Provvidenza. È ancora più difficile
farlo quando il proprio paese è invischiato ancora una volta in una
guerra e la forza di questi miti si rende necessaria per mantenere fermo
il senso del dovere della gente di fronte alla disarmante forza dei fatti.
Ma lo scopo della storia non è di tenere in vita i miti. Il suo
scopo è piuttosto quello di smontarli perché le generazioni future
possano agire con maggiore consapevolezza per evitare le tragedie del
passato. Potrebbero volerci altri sei o anche sessanta decenni, ma alla
fine la verità sull'impiego della bomba sarà scritto non nella
mitologia, ma nella storia. Speriamo quindi che, di conseguenza, il
mondo diventi un luogo più sicuro.
Robert Freeman scrive di economia, di storia e di educazione. Può
essere contattato all'indirizzo ***@yahoo.com.
______________________________________________________________________
I diritti d'autore sono detenuti dall'Autore dell'originale.
I diritti della traduzione in italiano sono del traduttore.
La traduzione italiana è coperta, ove compatibile con la licenza
dell'originale, dalla licenza Creative Commons versione 3.0 Attribuzione
- Non commerciale - Condivisibile alle stesse condizioni
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/deed.it
it.cultura.orientale. Vogliate prenderlo allora, in occasione del 63º
anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima, come un omaggio ad
un popolo orientale che, ad epilogo di una guerra che lo vide anche
carnefice, subì alla fine una tale tragedia per mero calcolo di
convenienza politico-economica. Tanto non dovrebbe destare grande
sorpresa, che è soprattutto per questo che si combattono le guerre, al
di là dello strombazzamento della propaganda ufficiale.
http://alessandro.route-add.net/Testi/Altro/bombardamento_atomico_giappone.html
Articolo originalmente pubblicato domenica 6 agosto 2006 da
CommonDreams.org, http://www.commondreams.org/views06/0806-25.htm
Tradotto da Alessandro Selli; ultima revisione: 22 luglio 2008
Era necessario il bombardamento atomico del Giappone?
di Robert Freeman
Poche discussioni riguardo eventi della storia degli Stati Uniti -
forse solo lo schiavismo - sono tanto animati come quello dell'uso delle
bombe atomiche sul Giappone. Era necessario? Il solo fare questa
domanda provoca indignazione, persino rabbia. Si prenda ad esempio il
clamore isterico sorto intorno alla mostra del 1995 dello Smithsonian
che aveva semplicemente osato discutere il tema a cinquant'anni dal
fatto. Oggi, dopo altri undici anni, gli statunitensi hanno ancora
difficoltà a guardare in faccia la verità su quelle bombe.
Ma la rabbia non è una tesi. L'isteria non è la storia. La
decisione di sganciare la bomba è stata sottoposta al lavaggio della
fabbrica americana di miti tanto da essere trasformata a volontà:
dall'autoconservazione degli statunitensi ad una preoccupazione nei
confronti degli stessi giapponesi, come se l'incinerazione di
duecentomila esseri umani in un secondo possa essere stato per qualche
ragione un atto di generosità morale.
Eppure la domanda non si estinguerà, né deve farlo: l'uso delle bombe
atomiche su Hiroshima e Nagasaki è stata una necessità militare? Era
giustificabile questa decisione dall'imperativo della salvaguardia di
vite umane, o dietro c'erano altre ragioni?
La domanda sulla necessità militare può essere messa a tacere
rapidamente. "Il Giappone era già militarmente sconfitto e l'uso della
bomba era completamente inutile." Queste non sono le parole di uno
storico revisionista postumo o di uno scrittore di sinistra. Certamente
non sono le parole di qualcuno preso dall'odio per gli Stati Uniti.
Sono le parole di Dwight D. Eisenhower, Comandante Supremo delle Forze
Alleate in Europa e futuro presidente degli Stati Uniti d'America.
Eisenhower sapeva, come lo sapeva l'intero corpo degli ufficiali
superiori degli Stati Uniti, che verso la metà del 1945 il Giappone era
privo di difese.
Dopo la distruzione della flotta giapponese nel golfo di Leyte
nell'ottobre del 1944, gli Stati Uniti potevano bombardare incontrastati
le città del Giappone, come fecero con gl'infernali bombardamenti
incendiari di Tokyo e Osaka. Questo è quello che intendeva Henry H.
Arnold, Comandante generale dell'Aeronautica militare degli Stati Uniti,
quando dichiarò che "la situazione dei giapponesi era disperata perché
ancora prima del lancio della prima bomba atomica i giapponesi avevano
perso il controllo del loro proprio spazio aereo." Inoltre, senza una
propria marina militare, un Giappone povero di risorse autonome aveva
perso la capacità di importare il cibo, il carburante e i rifornimenti
industriali necessari a portare avanti una guerra mondiale.
Consci dell'evidente futilità della loro difesa i giapponesi
contattarono i russi per ottenere il loro aiuto nel negoziare una pace
che mettesse fine alla guerra. Gli Stati Uniti avevano già da tempo
imparato a decodificare le trasmissioni giapponesi e sapevano che tali
negoziati erano in corso, sapevano che i giapponesi erano mesi che
cercavano un modo [accettabile] di arrendersi.
L'ammiraglio di squadra navale Chester W. Nimitz, comandante in capo
della flotta USA del pacifico, evidenziava questo fatto quando scriveva
che "I giapponesi avevano infatti già chiesto la pace. La bomba atomica
non ebbe alcun ruolo decisivo, da un punto di vista puramente militare,
nella sconfitta del Giappone." L'ammiraglio William D. Leahy, Capo del
gabinetto del presidente Truman, disse la stessa cosa: "L'uso de[lle
bombe atomiche] a Hiroshima e Nagasaki non fu di alcun beneficio pratico
nella nostra guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già
sconfitti e pronti alla resa."
Le autorità civili, in particolar modo lo stesso Truman, avrebbero in
seguito tentato di riscrivere la storia sostenendo che le bombe fossero
state sganciate per salvare le vite di un milione di soldati USA. Ma
non esiste nessuna circostanza concreta a sostegno di questa tesi in
qualsiasi documento dell'epoca. Al contrario, la 'Analisi dei
bombardamenti strategici' degli Stati Uniti rilevava che "Certamente il
Giappone si sarebbe arreso prima del 31 dicembre 1945, e con ogni
probabilità prima del 1° novembre 1945, anche se le bombe atomiche non
fossero state sganciate." La data del primo novembre è importante
perché quella era la prima data utile dell'invasione statunitense delle
isole giapponesi che era stata pianificata.
In altre parole, l'opinione virtualmente unanime e condivisa dei
comandanti di lunga esperienza e più informati delle forze militari
statunitensi non lasciava spazio a dubbi: non c'era alcuna urgente
necessità militare di sganciare le bombe atomiche sul Giappone.
Ma se l'impiego delle bombe non fu dettato da necessità militari,
allora perché furono usate? La risposta emerge quando si considera
l'atteggiamento degli U.S.A. nei confronti dei russi, come la guerra era
finita in Europa e la situazione in Asia.
Da tempo i leader degli U.S.A. avevano in odio il governo comunista
russo. Nel 1919 gli U.S.A. avevano condotto un'invasione in Russia, la
famigerata "Contro-Rivoluzione Bianca", nel tentativo di battere la
rivoluzione rossa bolshevika che aveva portato i comunisti al potere nel
1917. L'invasione fallì e gli U.S.A. non riconobbero diplomaticamente
la Russia fino al 1932.
Poi, durante la Grande Depressione, quando l'economia degli U.S.A.
crollò, l'economia russa era invece in espansione esplosiva, essendo
cresciuta di quasi il 500%. I leader degli U.S.A. temevano che con la
fine della guerra il paese potesse cadere di nuovo preda di una
depressione. E la seconda guerra mondiale non fu vinta dal sistema
lassista americano, ma da quello verticistico, di dirigenza e controllo
sull'economia che rappresentava il sistema russo. In altre parole, il
sistema russo sembrava funzionare mentre quello americano soffriva dal
recente crollo e da una dubbia fiducia in se stesso.
Inoltre per sconfigere la Germania l'esercito russo era giunto a
Berlino attraversando l'Europa orientale. Aveva occupato e posto sotto
il suo controllo 150.000 miglia quadrate [388 mila chilometri quadrati,
NdT] di territorio nelle odierne Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria,
Romania, Bulgaria e Yugoslavia. A Yalta, nel febbraio del 1945, Stalin
aveva chiesto di tenere il controllo di questo territorio di nuova
occupazione. La Russia, Stalin giustamente osservava, era stata
ripetutamente invasa dagli europei dell'ovest, da Napoleone ai tedeschi
nella prima guerra mondiale e in ultimo da Hitler. La Russia aveva
perso oltre 20 milioni di vite nella seconda guerra mondiale e Stalin
voleva una zona cuscinetto contro ulteriori invasioni.
A questo punto, nel febbraio del 1945, gli Stati Uniti non sapevano
se la bomba avrebbe funzionato oppure no. Ma è fuor di dubbio che
avevano bisogno dell'aiuto della Russia per portare a termine sia la
guerra in Europa che quella nel pacifico. [Il presidente] Roosevelt non
aveva perso di vista queste necessità militari: senza un esercito capace
di affrontare quello di Stalin in Europa e anzi in necessità dell'aiuto
di Stalin, Roosevelt concesse l'Europa orientale, mettendo in mano ai
russi la più grande conquista territoriale della guerra.
Come ultimo punto, e forse più importante di tutti, Stalin concordò a
Yalta che una volta finita la guerra in Europa avrebbe fatto transferire
le sue forze dall'Europa all'Asia per entrare entro 90 giorni in guerra
nel Pacifico contro il Giappone. È a questo punto che le date diventano
criticamente importanti. La guerra in Europa finì l'otto maggio del
1945. L'otto maggio più 90 giorni fa l'otto agosto. Avessero voluto
gli U.S.A. impedire alla Russia l'occupazione di altro territorio
nell'Asia orientale così come aveva occupato i territori dell'Europa
orientale, dovevano far finire questa guerra nel più breve tempo possible.
Questo problema territoriale dell'Asia orientale era specialmente
rilevante perché prima della guerra contro il Giappone la Cina era
piombata in una guerra civile interna. Ad affrontarsi erano i
nazionalisti guidati dal generale Chiang Kai Shek con l'aiuto degli
Stati Uniti e i comunisti guidati da Mao Ze Dong. Si fosse permessa
alla Russia comunista la conquista di altro territorio nell'Asia
orientale, avrebbe messo la sua considerevole potenza militare a
disposizione di Mao, il che avrebbe portato quasi sicuramente alla
vittoria i comunisti una volta finita la guerra mondiale e riavviata la
guerra civile.
Una volta dimostrata la funzionalità della bomba il 15 luglio 1945,
gli eventi si inseguirono con una urgenza furiosa. Non c'era tempo per
negoziare con i giapponesi. Ogni giorno di ritardo voleva dire altra
terra persa alla Russia e, quindi, una maggiore probabilità di una
vittoria comunista nella guerra civile cinese. Tutta l'Asia avrebbe
potuto diventare comunista. Sarebbe stata una catastrofe strategica per
gli U.S.A. conseguire la vittoria nella guerra contro i fascisti per poi
finire col cederla nelle mani dei suoi altri nemici giurati, i
comunisti. Gli U.S.A. dovevano arrivare alla fine della guerra non in
mesi, neanche in settimane, ma in giorni.
E così il 6 agosto 1945, due giorni prima che spettasse ai russi di
dichiarare guerra al Giappone, gli Stati Uniti sganciarono la bomba su
Hiroshima. Le forze statunitensi sul campo, in attesa di una risposta
giapponese alla richiesta di resa, non correvano alcun pericolo. La
prima data pianificata per l'invasione delle isole giapponesi era ancora
tre mesi da venire e gli U.S.A. avevano sotto controllo il calendario di
tutte le operazioni belliche nel Pacifico. Ma la faccenda russa
incombeva e dettò il calendario. E così, solo tre giorni più tardi, gli
U.S.A. sganciarono la seconda bomba su Nagasaki. I giapponesi si
arrenderono il 14 agosto 1945, otto giorni dopo l'esplosione della prima
bomba.
Il Maggior Generale Curtis LeMay disse a proposito dell'uso della
bomba: "La guerra sarebbe finita nel giro di due settimane senza che i
russi vi avessero partecipato e senza la bomba atomica. La bomba
atomica non ha avuto nulla a che fare con la fine della guerra, per
niente." Tranne che per aver accelerato drasticamente la fine della
guerra per impedire ai russi [la conquista di altro] terreno nell'Asia
orientale.
La storia della necessità militare, goffamente messa in piedi in
fretta e furia dopo la fine della guerra, semplicemente non regge di
fronte alla soverchia realtà della situazione militare dell'epoca dei
fatti. Dall'altra parte, l'uso della bomba per limitare l'espansionismo
russo e per rendere i russi, come ebbe ad esprimersi in termini
rivelatori Truman, "più malleabili", si conforma appieno con tutti i
fatti noti, in particolar modo con le motivazioni e gli interessi degli
U.S.A..
Quale storia dovremmo accettare, quella che non sta in piedi ma è
stata santificata come dogma nazionale? Oppure quella che invece sta in
piedi e però mortifica la nostra presunzione? La nostra risposta
testimonierà della nostra maturità e capacità di essere
intellettualmente onesti.
A volte è difficile per un popolo conciliare la propria storia con le
mitologie nazionali, le mitologie dell'eterna innocenza e della
rettitudine che discende dalla Provvidenza. È ancora più difficile
farlo quando il proprio paese è invischiato ancora una volta in una
guerra e la forza di questi miti si rende necessaria per mantenere fermo
il senso del dovere della gente di fronte alla disarmante forza dei fatti.
Ma lo scopo della storia non è di tenere in vita i miti. Il suo
scopo è piuttosto quello di smontarli perché le generazioni future
possano agire con maggiore consapevolezza per evitare le tragedie del
passato. Potrebbero volerci altri sei o anche sessanta decenni, ma alla
fine la verità sull'impiego della bomba sarà scritto non nella
mitologia, ma nella storia. Speriamo quindi che, di conseguenza, il
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I diritti della traduzione in italiano sono del traduttore.
La traduzione italiana è coperta, ove compatibile con la licenza
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