Discussione:
Razzismo italiano
(troppo vecchio per rispondere)
Arturo
2010-02-08 14:17:06 UTC
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Interessante questo articolo di Beonio Brocchieri:
http://www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=17194
Accanto a molte osservazioni tutto sommato scontate per chi conosce
almeno un pochino l'argomento compare una tesi che, formulata in questi
termini, non avevo ancora incontrato, cioè quella delle radici
antimeridionali del razzismo italiano: "Il razzismo moderno in Italia è
stato in primo luogo un razzismo interno, legato al sorgere e
all'incancrenirsi della questione meridionale, prima ancora che
all'esperienza coloniale."
Mi pare una tesi tutt'altro che priva di verosimiglianza.

Saluti,
Arturo
Maurizio Pistone
2010-02-08 21:00:25 UTC
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Post by Arturo
tesi che, formulata in questi
termini, non avevo ancora incontrato, cioè quella delle radici
antimeridionali del razzismo italiano
già il razzismo è una teoria, nei suoi fondamenti, antiscientifica.
Cercare di trovare una logica, a partire da una serie di battute
isolate, in un dilettante/spregiatore della logica quale fu sempre
Mussolini, mi sembra un'impresa disperata.

Sicuramente una componente di perplessità "antropologica" non era
assente nella generazione che visse il fallimento del movimento
risorgimentale; e la letteratura regionalista dell'età successiva non
fece che accentuare questo atteggiamento un po' divertito, un po'
schifato, dell'opinione pubblica modernizzata verso la plebi
"lazzarone", pittoresche proprio perché "selvagge", del meriodione.

Ma questa, se fu una componente del razzismo del XX secolo, impallidisce
di fronte al millenarismo antisemita, destinato a diventare una delle
componenti stabili di quel grande fenomeno europeo che fu il fascismo.
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Mezzomatto
2010-02-09 19:02:20 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Sicuramente una componente di perplessità "antropologica" non era
assente nella generazione che visse il fallimento del movimento
risorgimentale; e la letteratura regionalista dell'età successiva non
fece che accentuare questo atteggiamento un po' divertito, un po'
schifato, dell'opinione pubblica modernizzata verso la plebi
"lazzarone", pittoresche proprio perché "selvagge", del meriodione.
Ai tempi della grande migrazione dal sud (anni '60) del secolo scorso,
circolava una tremenda barzelletta razzista: "Perchè in America ci sono i
negri e da noi i terroni?" "Perchè Dio ha fatto scegliere agli americani per
primi."
Questo per dare l'idea di cosa si pensava allora (allora?) in Italia.

G. De M.
Arturo
2010-02-11 14:53:27 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by Arturo
tesi che, formulata in questi
termini, non avevo ancora incontrato, cioè quella delle radici
antimeridionali del razzismo italiano
già il razzismo è una teoria, nei suoi fondamenti, antiscientifica.
Ammesso e non concesso che per i tempi in cui veniva formulato ciò sia
vero (Kuhn la pensava diversamente, mi pare), non vedo che rilevanza
abbia questo sul piano della sua ricostruibilità in ambito storiografico.
Post by Maurizio Pistone
Cercare di trovare una logica, a partire da una serie di battute
isolate, in un dilettante/spregiatore della logica quale fu sempre
Mussolini, mi sembra un'impresa disperata.
Certo, se pretendi un'analisi esaustiva del fenomeno hai ragione; non mi
pare però che la portata dello scritto sia questa (vd. alla fine).
Post by Maurizio Pistone
Sicuramente una componente di perplessità "antropologica" non era
assente nella generazione che visse il fallimento del movimento
risorgimentale; e la letteratura regionalista dell'età successiva non
fece che accentuare questo atteggiamento un po' divertito, un po'
schifato, dell'opinione pubblica modernizzata verso la plebi
"lazzarone", pittoresche proprio perché "selvagge", del meriodione.
Mi sembri un po' riduttivo: teoriche come quelle di Lombroso o Niceforo,
che consideravano gli abitanti del sud Italia una "razza poltrona", non
possono certamente non essere considerate quali precedenti significativi
per la storia del razzismo italiano.
Post by Maurizio Pistone
Ma questa, se fu una componente del razzismo del XX secolo, impallidisce
di fronte al millenarismo antisemita, destinato a diventare una delle
componenti stabili di quel grande fenomeno europeo che fu il fascismo.
Sono d'accordissimo che l'antisemitismo, nei suoi contenuti (che pure
conoscono un certo margine di oscillazione nelle diverse realtà
nazionali), si incontra ma ha un'autonomia piena e indiscutibile dal
razzismo; ma proprio per questo bisogna riconoscere anche una certa
autonomia al razzismo. L'articolo propone di interpretare questa
autonomia in primo luogo alla luce dell'antimeridionalismo, e accenna
alla peculiare intonazione che l'individuazione dell'obiettivo ha
prodotto. Mi pare un'ipotesi di lavoro perlomeno meritevole di discussione.

Saluti,
Arturo
marco.menicocci@alice.it
2010-02-14 14:30:45 UTC
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L'articolo propone di interpretare questa autonomia in primo luogo alla
luce dell'antimeridionalismo, e accenna alla peculiare intonazione che
l'individuazione dell'obiettivo ha prodotto. Mi pare un'ipotesi di lavoro
perlomeno meritevole di discussione.
Discutiamola allora. Gli esiti del Risorgimento nel Meridione e le reazioni
popolari agli errori comportano la necessità di valutare il problema del
Mezzogiorno. Non mancarono, come noto, indagini approfondite svolte dal
Parlamento stesso, con notevoli e acute osservazioni. Senonché occorre poi
reagire concretamente alle sommosse popolari e all'impossibilità di
garantire un qualche progresso alle plebi meridionali. A fronte della loro
demotivazione, della resistenza o comunque della passività di queste, i
livelli bassi delle amministrazioni centrali e praticamente tutti i livelli
militari utilizzarono come criterio giustificativo il razzismo. O almeno:
toni e valutazioni che oggi possono essere comprese nella categoria di
razzismo. IL razzismo ebbe poi giustificazioni di carattere scientifico
(Lombroso ad esempio: uno che comincia a misurare i crani e finisce per fare
lo spiritismo per parlare con la madre) ma queste giustificazioni non
penetrarono mai nell'alta cultura italiana, né sul piano giuridico né su
quello filosofico, per intenderci. Restò, il razzismo, un comodo strumento
per alcuni settori della borghesia per disfarsi di fastidiosi problemi.
Con il Fascismo il razzismo torna in auge. Lo fa, come dire, prima di essere
ufficializzato. Mussolini scrisse nel 1936 a Hitler prendendo posizione
contro l'idea, girata negli ambienti sportivi tedeschi, di far gareggiare
atleti ebrei. Forse Hitler non aveva bisogno del consiglio: fatto sta che ci
fu. Tuttavia non era questo il vero pericolo iniziale: lo stesso Mussolini
riteneva chiaramente inferiori i siciliani ai piemontesi. IL suo razzismo,
ancora un razzismo interno, aveva lo scopo strumentale di fornire una base
per la gerarchizzazione della società. Gli interessava costruire delle linee
sociali stabili, se non invalicabili (Gentile era siciliano e Croce
...centro-meridionale) almeno rigide, nell'idea che la stabilità equivalesse
a maggiore solidità. L'esito antisemita italiano fu solo uno sviluppo
coerente di una visione gerarchica della società che avrebbe comunque
funzionato: a rigore le leggi antisemite avrebbero anche potuto non esserci
e nondimeno il fascismo sarebbe stato razzista.
Eviterei, però, di ampliare troppo il termine razzismo. Non ogni forma di
campanilismo e grettezza localistica è razzismo. L'odio contro i meridionali
immigrati non aveva necessariamente, tanto per fare un esempio, un carattere
razziale. Poteva essere un odio di classe verso il povero invadente (si
odiavano anche i friulani!), lo sporco, il diverso. Anche qui era il diverso
che faceva concorrenza (ad esempio: faceva crollare il valore delle case,
rubava i posti di lavoro...) in casa propria ad essere odiato e non il "buon
meridionale" che si "godeva" la vita a Capri lavorando come cameriere o come
pescatore. Va infine considerato il ruolo giocato dalla mafia, che è forte
nel dopoguerra, che vede i meridionali come il terreno della delinquenza.
Anche qui non era odiato il calabrese carabiniere ma il calabrese
imparentato con i padrini locali.
marco
OndaMax
2010-02-14 19:02:39 UTC
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Post by ***@alice.it
Eviterei, però, di ampliare troppo il termine razzismo. Non ogni forma di
campanilismo e grettezza localistica è razzismo. L'odio contro i
meridionali immigrati non aveva necessariamente, tanto per fare un
esempio, un carattere razziale. Poteva essere un odio di classe verso il
povero invadente (si odiavano anche i friulani!), lo sporco, il diverso.
Anche qui era il diverso che faceva concorrenza (ad esempio: faceva
crollare il valore delle case, rubava i posti di lavoro...) in casa
propria ad essere odiato e non il "buon meridionale" che si "godeva" la
vita a Capri lavorando come cameriere o come pescatore.
Beh, però non è che l'odio verso i friulani non sia razzismo .. :-)

Esiste anche un razzismo di classe. Al di la delle motivazioni sociali e
politiche che lo provocano (eppure storicamente interessanti risalendo al
primo dopoguerra e alle radici del fascismo, che fu anche scontro tra classi
media e operaia) non sarei così sicuro che vada depennato a cuor leggero
dalla cerchia dei razzismi possibili.

Ciao
OndaMax
Alberto
2010-02-14 23:03:03 UTC
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Post by OndaMax
Beh, però non è che l'odio verso i friulani non sia razzismo .. :-)
Esiste anche un razzismo di classe.
Ok con i friulani gioco in casa :-)
Secondo me la forma più comune di razzismo è quello di classe, rivolto
ai poveri.
Nel caso specifico dei friulani, tu forse ti riferisci agli emigranti
ma esisteva un razzismo interno delle classi alte che era rivolto ai
contadini poveri, i "sotans". Un nobile arrivò a suggerire di
deportarli in Sardegna, in quanto "costituzionalmente" poltroni. Il
luogo comune sui friulani era ignoranti e rissaioli. In un qualche
momento invece si trasforma in quello dei bravi lavoratori. Prima o
poi cercherò di capire quando e perchè è successo.
OndaMax
2010-02-15 00:36:18 UTC
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"Alberto" ha scritto nel messaggio ...
Post by Alberto
Post by OndaMax
Beh, però non è che l'odio verso i friulani non sia razzismo .. :-)
Esiste anche un razzismo di classe.
Ok con i friulani gioco in casa :-)
Secondo me la forma più comune di razzismo è quello di classe, rivolto
ai poveri.
Nel caso specifico dei friulani, tu forse ti riferisci agli emigranti
ma esisteva un razzismo interno delle classi alte che era rivolto ai
contadini poveri, i "sotans". Un nobile arrivò a suggerire di
deportarli in Sardegna, in quanto "costituzionalmente" poltroni. Il
luogo comune sui friulani era ignoranti e rissaioli. In un qualche
momento invece si trasforma in quello dei bravi lavoratori. Prima o
poi cercherò di capire quando e perchè è successo.
Interessante ... :-)

Intendevo solo dire che non è che l'odio contro i meridionali non fosse
registrabile come razzismo solo perchè si odiavano anche i friulani. Era
solidarietà per i friulani, insomma ... :-)

Ciao
OndaMax
Arturo
2010-02-15 15:02:44 UTC
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Intanto grazie per l'attenzione, perché mi dai modo di spiegarmi un po'
più chiaramente.
Post by ***@alice.it
L'articolo propone di interpretare questa autonomia in primo luogo
alla luce dell'antimeridionalismo, e accenna alla peculiare
intonazione che l'individuazione dell'obiettivo ha prodotto. Mi pare
un'ipotesi di lavoro perlomeno meritevole di discussione.
Discutiamola allora. Gli esiti del Risorgimento nel Meridione e le
reazioni popolari agli errori comportano la necessità di valutare il
problema del Mezzogiorno. Non mancarono, come noto, indagini
approfondite svolte dal Parlamento stesso, con notevoli e acute
osservazioni. Senonché occorre poi reagire concretamente alle sommosse
popolari e all'impossibilità di garantire un qualche progresso alle
plebi meridionali. A fronte della loro demotivazione, della resistenza o
comunque della passività di queste, i livelli bassi delle
amministrazioni centrali e praticamente tutti i livelli militari
utilizzarono come criterio giustificativo il razzismo. O almeno: toni e
valutazioni che oggi possono essere comprese nella categoria di
razzismo. IL razzismo ebbe poi giustificazioni di carattere scientifico
(Lombroso ad esempio: uno che comincia a misurare i crani e finisce per
fare lo spiritismo per parlare con la madre) ma queste giustificazioni
non penetrarono mai nell'alta cultura italiana, né sul piano giuridico
né su quello filosofico, per intenderci. Restò, il razzismo, un comodo
strumento per alcuni settori della borghesia per disfarsi di fastidiosi
problemi.
Ecco, qui credo che la nostra lettura diverga decisamente: bisogna
innanzitutto intendersi sul significato di "alta cultura italiana". Hai
certamente ragione se sostieni che questa cultura coincide
sostanzialmente con la filosofia di Croce e Gentile; dagli studi,
naturalmente fondamentali, di Bobbio e Garin di acqua sotto i ponti ne è
però passata un bel po', mi pare. Lavori come quello di Giuseppe Are e
soprattutto di Silvio Lanaro (Nazione e lavoro, Marsilio, prima edizione
1979) hanno sostenuto, a me pare in modo piuttosto persuasivo, che la
cultura nazionale della borghesia italiana si aggrega intorno a un
sapere tecnico-scientifico e giuridico-economico, modernizzante sì, ma
intriso di autoritarismo antidemocratico (e antiliberale), cui teoriche
imperialiste, demografiche, nativiste e quindi anche razziste risultano
non solo congeniali ma consustanziali (questo naturalmente in generale,
non in riferimento a tutti i soggetti coinvolti). In altre parole, il
ritardo dell'unificazione italiana e la sua sovrapposizione con
dinamiche proprie dell'età dell'imperialismo fa sì che si assista a un
processo di "nazionalizzazione per contrasto" - come sostiene Michele
Nani nel suo bellissimo libro (Ai confini della nazione. Stampa e
razzismo nell'Italia di fine Ottocento, Carocci, Roma, 2006),
riprendendo una formula moschiana - in cui il razzismo ha un ruolo
tutt'altro che secondario, come lo stesso autore ha potuto verificare a
partire dall'analisi un case study, cioè la costruzione del senso comune
attraverso la stampa in una città (Torino).
Post by ***@alice.it
Con il Fascismo il razzismo torna in auge.
Vedi che se fai del razzismo un fenomeno assolutamente minoritario ed
estraneo al milieu culturale dell'Italia monarchica questo passaggio
risulta in qualche modo misterioso? Risulta cioè misteriosa la così
ampia disponibilità offerta da intellettuali in generale (De Felice),
militanti e funzionari (come dice Isnenghi), e scienziati in particolare
(Maiocchi) a farsi latori di questa nuova vulgata, il cui rapido
successo non può essere spiegato in chiave di puro e semplice opportunismo.
Post by ***@alice.it
Lo fa, come dire, prima di
essere ufficializzato. Mussolini scrisse nel 1936 a Hitler prendendo
posizione contro l'idea, girata negli ambienti sportivi tedeschi, di far
lo stesso Mussolini riteneva chiaramente inferiori i siciliani ai
piemontesi. IL suo razzismo, ancora un razzismo interno, aveva lo scopo
strumentale di fornire una base per la gerarchizzazione della società.
Neanche qui sono molto d'accordo. Intanto commetti alcuni errori
fattuali, dal momento che il razzismo fu ufficializzato prima di
diventare antisemita e addirittura prima del fascismo, visto che lo si
ritrova in alcune leggi di epoca giolittiana (la prima apparizione del
termine "razza" in un testo legislativo risale all'art. 4 della legge
205 del 1903 sulla colonia d'Eritrea) e successive leggi - peraltro
assolutamente in linea con coeve normative coloniali europee,
specialmente inglesi e tedesche - che vietavano matrimoni misti e
convivenze, che però nel caso italiano avevano un carattere parziale
perché riguardavano solo funzionari coloniali. Un salto di qualità si
verifica sotto il fascismo, che ci regala la prima "norma italiana
esplicitamente ed effettivamente razzista, perché, a differenza delle
norme del 1909-14, concerneva un intero gruppo di persone" (introduce la
nozione di "razza bianca"), vale a dire la legge organica per l'Eritrea
e la Somalia, del luglio 1933, che prevedeva, fra l'altro la necessità
di procedere a un'analisi "antropologica etnica" finalizzata
"all'accertamento della razza" nell'ottica di una politica di
limitazione del numero di cittadini non totalmente bianchi (per quanto
sopra, sto citando da Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista, Einaudi,
Torino, 2007, pp. 103-4). Anche l'antisemitismo fascista a livello
ideologico non data al '38 e nemmeno al '36, ma lo accompagna, seppure
minoritariamente e in modo lontano "dalla centralità sacrale e quasi
mistica dell'antisemitismo tedesco che ha dalla sua la lunga tradizione
del mondo tedesco e mitteleuropeo" (N. Tranfaglia, Sull'antisemitismo
fascista in Labirinto italiano, La Nuova Italia, Firenze, 1989, pag.
80), dalla sua nascita, mentre una vera e proprio politica antisemita,
di progressiva estromissione degli ebrei dalla vita pubblica, data
sicuramente dal '36 come dimostra il famoso il rapporto del prefetto di
Ferrara del luglio '36 che da conto dell'"opera di sfaldamento" della
presenza ebraica nelle cariche pubbliche cittadine che va intraprendendo
per non turbare "i rapporti di concordia ambientale" dopo i ripetuti
episodi di scritte antisemite in città. (Sulla questione specifica e
sulla politica antisemita fascista in generale, rimando ancora a Sarfatti).
Né sul piano ideologico concordo nel ritenere che la funzione
gerarchizzante *all'interno* sia la più importante attribuita al
razzismo: l'"inegualismo", come diceva Marinetti, appartiene al DNA del
fascismo, sia nel suo cote aristocratico letterario, che in quello
scientifico tecnocratico (gerarchia delle competenze) e non aveva quindi
bisogno del razzismo (ciò naturalmente non vuol dire negare che il
razzismo "presentava dei punti di saldature pefettamente coerenti con i
cardini di una visione ideologica generale che considerava valori
assolutamente imprescindibili le disuguaglianze e le gerarchie, il
dominio e i rapporti di forza tra le nazioni non meno che tra gli
uomini." P.G. Zunino, L'ideologia del fascismo, Il Mulino, Bologna,
1995, pag. 272). Mi pare ci sia sufficiente concordia tra gli studiosi
nell'affermare che il razzismo è direttamente connesso con la
totalitarizzazione del regime, cioè "Attribuirne l'origine [dei
provvedimenti antiebraici del 1938] unicamente alla necessità di
rendersi bene accetto alla Germania nazista è profondamente fuorviante.
La campagna antisemita ebbe anche questo risvolto, ma essa ubbidì in
primo luogo ad esigenze di carattere interno. Essa fu il momento
centrale dello sforzo di cementare all'interno il livello del consenso
con un processo massiccio di emarginazione delle diversità, intese come
possibile potenziale di dissenso. La polarizzazione verso il diverso
aveva quindi la funzione di accelerare la concentrazione di tutte le
energie in una direzione unica. L'obiettivo immediato del bombardamento
propagandistico e delle misure restrittive era l'ebreo, ma i destinatari
dei messaggi che l'operazione ebbe di mira erano tutti coloro che
non si identificavano ancora con il regime fascista." (E. Collotti,
Fascismo, fascismi, Sansoni, Firenze, 1989, pp. 56-7). De Felice segnala
anche, come concause, l'attività di alcuni ebrei e organizzazioni
ebraiche straniere, e come causa principale, oltre al desiderio di
combattere lo "spirito borghese", l'avvicinamento alla Germania, da
intepretarsi però nell'ottica della "prova" a cui Mussolini vedeva
chiamata l'Italia in un futuro non ben determinato ma inevitabile (De
Felice, Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1981,
pp. 314 e ss.). Si tratta in altre parole, ancora una volta, del movente
imperialista, così che lo stesso Collotti può più recentemente
sintetizzare: "Si può dire che, alla fine, essa altro non fosse che un
ingrediente necessario nella preparazione psicologica della popolazione
italiana alla guerra". (Collotti et alii, Fascismo e politica di
potenza, La Nuova Italia, Milano, p. 380).
Post by ***@alice.it
Gli interessava costruire delle linee sociali stabili, se non
invalicabili (Gentile era siciliano e Croce ...centro-meridionale)
almeno rigide, nell'idea che la stabilità equivalesse a maggiore
solidità. L'esito antisemita italiano fu solo uno sviluppo coerente di
una visione gerarchica della società che avrebbe comunque funzionato: a
rigore le leggi antisemite avrebbero anche potuto non esserci e
nondimeno il fascismo sarebbe stato razzista.
Il fascismo ebbe sempre un (anzi: più di uno. Raspanti ne individua tre)
cote razzista, su questo nessun dubbio.
Post by ***@alice.it
Eviterei, però, di ampliare troppo il termine razzismo. Non ogni forma
di campanilismo e grettezza localistica è razzismo. L'odio contro i
meridionali immigrati non aveva necessariamente, tanto per fare un
esempio, un carattere razziale. Poteva essere un odio di classe verso il
povero invadente (si odiavano anche i friulani!), lo sporco, il diverso.
[cut]

Certamente il razzismo si distingue dalla xeonofobia, ma non è che una
escluda l'altro. Naturalmente dipende che cosa si intende per razzismo:
in senso ristretto è la scienza della razza (e come tale è oggi
defunto); in senso lato mi pare buona la definizione di
Burdieu, che parla di "oggettivazione dei caratteri", non visti nel loro
formarsi relazionale. Naturalmente tra le due definizione esiste un
rapporto di genere a specie e i confini della specie hanno un alone di
indeterminatezza (es.: la volgarizzazione giornalistica di una teoria
razzista, dove la collochiamo?). Sono invece in disaccordo se vuoi dire
che l'antimeridionalismo nasce come xeonofobia: direi proprio di no, non
foss'altro perché viene alla luce assai prima (e assai dopo)
dell'immigrazione di massa dal sud. Con ciò naturalmente non sto negando
che alla xenofobia (ma anche al razzismo) non si accompagnino problemi
concreti, per esempio di convinvenza difficile, di concorrenza al
ribasso nel mercato del lavoro, la mafia, eccetera. Ma il discorso
dell'articolo mi pare un altro. Si sostiene cioè, secondo me
giustamente, che l'origine del discorso antimeridionalista del razzismo
italiano (che, legata agli andamenti cronologici del processo di
unificazione italiana ed età dell'imperialismo di cui accennavo sopra,
costituisce un elemento caratterizzante una cospicua fetta del processo
culturale di nation building) ne determina un'intonazione insicura, di
cui il razzismo stesso non riesce a venire completamente a capo, che ne
rende sfuggente la diagnosi, più deboli gli anticorpi e ricorrente
l'appetibilità di fronte a problemi politici, sociali, economici.

Saluti,
Arturo
marco.menicocci@alice.it
2010-02-15 19:17:35 UTC
Permalink
"Arturo" ha scritto nel messaggio (...)
Post by Arturo
Intanto grazie per l'attenzione, perché mi dai modo di spiegarmi un po'
più chiaramente.
Grazie a te perché mi hai fatto riflettere e mi hai portato un mucchio di
informazioni che non conoscevo. E anche per la garbata lezione di metodo ;-)
Vediamo su cosa concordiamo: la borghesia italiana
Post by Arturo
si aggrega intorno a un
sapere tecnico-scientifico e giuridico-economico, modernizzante sì, ma
intriso di autoritarismo antidemocratico (e antiliberale), cui teoriche
imperialiste, demografiche, nativiste e quindi anche razziste risultano
non solo congeniali ma consustanziali
questo significa che il processo di unificazione ha forme di autoritarismo
che si nutrono di (o si manifestano in) forme di razzismo. Non sapevo che
fosse stato esplicitato in periodo liberale e mi fanno piacere i tuoi
accenni e i riferimenti.
Penso che si possa concordare sul fatto, però, (vado a capo perché non sono
sicuro se concordiamo) che né la cultura ufficiale della classe dirigente
quale si manifestava in Parlamento né la ricerca scientifica universitaria
(certo...Lombroso...!) fossero orientate in tal senso: era la cultura
diffusa dai media dell'epoca a dare questo senso. Manca, mi pare, un
indirizzo razzista nelle scuole. Naturalmente è fuori dalla dottrina
ufficiale della Chiesa, il che aveva il suo peso anche se forse lo aveva
fuori da molti settori borghesi. Riterrei allora che il razzismo fosse una
via semplificatrice per la soluzione di taluni problemi.
Concordiamo a questo punto (nel senso che mi hai convinto) che il razzismo
fu ufficializzato prima di divenire antisemita.
Concordiamo anche sulla diffusa presenza del razzismo nel Fascismo.
A questo punto la questione è quanto fosse ampio il razzismo prima del
fascismo. IL problema, la lezione di metodo cui accennavo, è in effetti
Post by Arturo
Vedi che se fai del razzismo un fenomeno assolutamente minoritario ed
estraneo al milieu culturale dell'Italia monarchica questo passaggio (dal
liberalismo monarchico al fascismo n. di me) risulta in qualche modo
misterioso? Risulta cioè misteriosa la così ampia disponibilità offerta da
intellettuali in generale (De Felice), militanti e funzionari (come dice
Isnenghi), e scienziati in particolare (Maiocchi) a farsi latori di questa
nuova vulgata, il cui rapido successo non può essere spiegato in chiave di
puro e semplice opportunismo.
Il mio avviso è che il razzismo fosse utilizzato come comodo strumento di
organizzazione sociale, mentre una delle tue posizioni è che fosse collegato
all'imperialismo. Non sono sicuro se sia possibile distinguere nettamente le
due cose ma accetto la tua posizione per poter discutere. Del resto che
l'imperialismo italiano avesse un carattere razzista è innegabile (e
concordiamo anche su questo!). Ma era la funzione principale? Se il fascismo
si fosse contentato, come molti chiedevano, di una modesta modernizzazione
dell'Italia, rinunciando a visioni planetarie di potenza, il razzismo ci
sarebbe stato egualmente. Credo del resto che si potrebbe anche pensare che
l'intera fase imperialistica avesse la funzione di rendere organica la
società interna (un marxista non avrebbe dubbi a pensarla così). Questo mi
lascia ancora ritenere che la funzione di gerarchizzare la società fosse
Post by Arturo
Mi pare ci sia sufficiente concordia tra gli studiosi
nell'affermare che il razzismo è direttamente connesso con la
totalitarizzazione del regime, cioè "Attribuirne l'origine [dei
provvedimenti antiebraici del 1938] unicamente alla necessità di
rendersi bene accetto alla Germania nazista è profondamente fuorviante.
La campagna antisemita ebbe anche questo risvolto, ma essa ubbidì in
primo luogo ad esigenze di carattere interno.
Che è quel che penso.
Torno alla questione di sopra: il passaggio misterioso. La cultura borghese
diffusa tra la fine dell'800 e il 1914 è inegualitaria nei fatti. Ed ha la
tentazione di giustificare queste differenze naturali con forme razziste.
Cosicché il razzismo ha da noi origine interna. Però mi pare, nonostante i
suggerimenti e le letture che offri, che questo razzismo resti minoritario
culturalmente. Emerga qua e là nei giornali, ad esempio, o negli scritti di
alcuni intellettuali (D'Annunzio...) ma non sia tematizzato esplicitamente e
anche sul piano giuridico trovi molte difficoltà ad esser elaborato.
Cosicché restava al di sotto del livello alto, come corrente che poteva
manifestarsi e offrire la base a crescite ulteriori ma che poteva anche
svanire. Anche in altri paesi democratici (penso al Belgio, oltre che a
Francia, Inghilterra e Usa) esistette un sottofondo culturale che poteva
avere involuzioni razziste senza però giungervi. Il Fascismo aggiunge la
scintilla che serviva: dovendo per i suoi scopi accrescere il controllo
gerarchico proprio per evitare che la modernizzazione sfuggisse nel caos
democratico, il Fascismo lasciò emergere (o utilizzò rendendolo ufficiale)
questo fondo. Che trovo esca non tanto per convenienza o per opportunismo
quanto perché, a fronte degli apparenti vantaggi (e in qualche caso di
vantaggi anche non apparenti), penso soprattutto alla accresciuta mobilità
sociale oltre che all'utilizzo fondante in senso mitico della "nazione", il
razzismo poteva apparire come una marginale sciocchezza che alla fine,
riguardava solo questioni di principio o una minoranza che appariva assai
infima e che era possibile "non vedere". Gli aspetti giuridici relativi
alle colonie erano fuori dall'orizzonte della maggioranza e dal punto di
vista dell'opinione pubblica il razzismo antisemita mi sembra più subito che
accettato dalla popolazione. Mentre resta, di fondo, sia pure non espresso a
parole ma espresso nei fatti amministrativi, il razzismo interno, quello
implicito nord-sud.
Per questo a mio avviso lo scarto tra periodo monarchico e fascista resta
alto.
Post by Arturo
Certamente il razzismo si distingue dalla xeonofobia, ma non è che una
escluda l'altro.
Non si escludono ma dobbiamo distinguerli per non confonderli. Altrimenti
razzismo diventa tutto, compreso, come in alcuni interventi qui, in questa
discussione, il rapporto tra le classi. Credo che il senso delle parole vada
mantenuto per evitare che si disperda nella polemica o, appunto, diventi un
tema diffuso a livello della cultura media e quasi uno slogan: che è l'uso
largamente fatto, ad esempio, dai media contemporanei e presente nel
linguaggio corrente.
a meno di non ritenere che il razzismo abbia una qualche realtà fattuale, e
mi pare che si concordi che non è così, le uniche definizioni utilizzabili
sono quelle storiche: di come è stato inteso il razzismo. Questo dovrebbe
Post by Arturo
Sono invece in disaccordo se vuoi dire che l'antimeridionalismo nasce come
xeonofobia: direi proprio di no, non foss'altro perché viene alla luce
assai prima (e assai dopo) dell'immigrazione di massa dal sud.
avrei, cioè, una data a partire dalla quale far sorgere il razzismo italiano
e anche un ambiente. Direi che sorge negli ambienti militari con le campagne
meridionali nel periodo della repressione del brigantaggio. Che è in fondo
dire che è una fetta del nation building. Questo razzismo, insicuro come
scrivi, torna poi fuori quando l'emigrazione produce i noti squilibri.
Quindi è cronologicamente anteriore all'emigrazione, e sono d'accordo, ma
riemerge a seguito (anche a seguito) dell'emigrazione come giustificazione
facile alla xenofobia.
marco
Arturo
2010-02-17 15:00:21 UTC
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Post by ***@alice.it
"Arturo" ha scritto nel messaggio (...)
Post by Arturo
Intanto grazie per l'attenzione, perché mi dai modo di spiegarmi un po'
più chiaramente.
Grazie a te perché mi hai fatto riflettere e mi hai portato un mucchio
di informazioni che non conoscevo. E anche per la garbata lezione di
metodo ;-)
Ti (ri)ringrazio per le parole gentili ma non era mia intenzione
imparire lezione alcuna, nemmeno garbatamente. ;-)
Post by ***@alice.it
Vediamo su cosa concordiamo: la borghesia italiana
Post by Arturo
si aggrega intorno a un
sapere tecnico-scientifico e giuridico-economico, modernizzante sì, ma
intriso di autoritarismo antidemocratico (e antiliberale), cui teoriche
imperialiste, demografiche, nativiste e quindi anche razziste risultano
non solo congeniali ma consustanziali
questo significa che il processo di unificazione ha forme di
autoritarismo che si nutrono di (o si manifestano in) forme di razzismo.
Non sapevo che fosse stato esplicitato in periodo liberale e mi fanno
piacere i tuoi accenni e i riferimenti.
Penso che si possa concordare sul fatto, però, (vado a capo perché non
sono sicuro se concordiamo) che né la cultura ufficiale della classe
dirigente quale si manifestava in Parlamento né la ricerca scientifica
universitaria (certo...Lombroso...!) fossero orientate in tal senso: era
la cultura diffusa dai media dell'epoca a dare questo senso. Manca, mi
pare, un indirizzo razzista nelle scuole.
Bisogna intendersi: ciò che sostiene Lanaro è che si può constatare già
nel periodo liberale l'esistenza di una diffusa episteme, per usare un
termine foucaultiano, nazional-razziale, antidemocratica e antiliberale,
che si aggrega intorno a filosofie del numero, della potenza, della
folla, dell'élite, della demografia, e si esplica in saperi statistici,
demografici, economici, giuridici *anche* all'interno dell'università
(qualche esempio: Corrado Gini fu un fior di cattedratico, così come
interni all'università sono i percorsi di un Giorgio Mortara, di un
Rodolfo Benini, di un Angelo Mosso, di un Marco Fanno, per non parlare
di Rocco). Questi temi penetrano, in maniera più
o meno filtrata (forse si può parlare di media, ma per una società come
quella fine otto-primo novecentesca andrebbero fatte molte
precisazioni), nel resto della società. Non è semplice diagnosticare
quanto in profondità.
Post by ***@alice.it
Naturalmente è fuori dalla
dottrina ufficiale della Chiesa, il che aveva il suo peso anche se forse
lo aveva fuori da molti settori borghesi.
Magari la cultura cattolica si fosse realmente tenuta lontana da una
cultura demografico-nativista-imperialista!
Post by ***@alice.it
Riterrei allora che il
razzismo fosse una via semplificatrice per la soluzione di taluni problemi.
No, è qui che, forse, non concordiamo: io penso che il razzismo sia il
prodotto di una "scienza normale" borghese assai diffusa (che
naturalmente non è razzista in tutti i suoi cote e le sue espressioni).
Post by ***@alice.it
Concordiamo a questo punto (nel senso che mi hai convinto) che il
razzismo fu ufficializzato prima di divenire antisemita.
Concordiamo anche sulla diffusa presenza del razzismo nel Fascismo.
A questo punto la questione è quanto fosse ampio il razzismo prima del
fascismo.
Capisci che non è solo un problema di diffusione del razzismo ma anche
di codici culturali in cui il razzismo si può facilmente installare.
Post by ***@alice.it
IL problema, la lezione di metodo cui accennavo, è in effetti
Post by Arturo
Vedi che se fai del razzismo un fenomeno assolutamente minoritario ed
estraneo al milieu culturale dell'Italia monarchica questo passaggio
(dal liberalismo monarchico al fascismo n. di me) risulta in qualche
modo misterioso? Risulta cioè misteriosa la così ampia disponibilità
offerta da intellettuali in generale (De Felice), militanti e
funzionari (come dice Isnenghi), e scienziati in particolare
(Maiocchi) a farsi latori di questa nuova vulgata, il cui rapido
successo non può essere spiegato in chiave di puro e semplice opportunismo.
Il mio avviso è che il razzismo fosse utilizzato come comodo strumento
di organizzazione sociale, mentre una delle tue posizioni è che fosse
collegato all'imperialismo. Non sono sicuro se sia possibile distinguere
nettamente le due cose ma accetto la tua posizione per poter discutere.
Del resto che l'imperialismo italiano avesse un carattere razzista è
innegabile (e concordiamo anche su questo!). Ma era la funzione
principale? Se il fascismo si fosse contentato, come molti chiedevano,
di una modesta modernizzazione dell'Italia, rinunciando a visioni
planetarie di potenza, il razzismo ci sarebbe stato egualmente. Credo
del resto che si potrebbe anche pensare che l'intera fase imperialistica
avesse la funzione di rendere organica la società interna (un marxista
non avrebbe dubbi a pensarla così). Questo mi lascia ancora ritenere che
la funzione di gerarchizzare la società fosse prevalente. O prioritaria
Mi sembra che su questo punto usiamo forse una terminologia un po'
diversa, ma nella sostanza concordiamo. Quando parlo di imperialismo,
sia ben chiaro, non alludo solo ai concreti progetti espansionistici
(che pure c'erano) ma anche all'immagine del mondo coltivata da quel
tribalismo pauroso/aggressivo che è il nazionalismo della "terra e dei
morti" che si diffonde un po' in tutta Europa dopo la seconda metà
dell'Ottocento. Da questo punto di vista disciplinamento interno e
preparazione al conflitto fanno tutt'uno. Residua forse una certa
discrepanza metodologica che ci induce ad accordare priorità a fattori
diversi (che per me sono ideologico-politici).
Post by ***@alice.it
Post by Arturo
Mi pare ci sia sufficiente concordia tra gli studiosi
nell'affermare che il razzismo è direttamente connesso con la
totalitarizzazione del regime, cioè "Attribuirne l'origine [dei
provvedimenti antiebraici del 1938] unicamente alla necessità di
rendersi bene accetto alla Germania nazista è profondamente fuorviante.
La campagna antisemita ebbe anche questo risvolto, ma essa ubbidì in
primo luogo ad esigenze di carattere interno.
Che è quel che penso.
Torno alla questione di sopra: il passaggio misterioso. La cultura
borghese diffusa tra la fine dell'800 e il 1914 è inegualitaria nei
fatti. Ed ha la tentazione di giustificare queste differenze naturali
con forme razziste. Cosicché il razzismo ha da noi origine interna. Però
mi pare, nonostante i suggerimenti e le letture che offri, che questo
razzismo resti minoritario culturalmente.
Certamente, se prendi la cultura nel suo insieme, hai probabilmente
ragione; ho invece qualche dubbio che un'analisi per discipline
condurrebbe allo stesso risultato: è evidente che se prendiamo l'ambito
statistico potremmo ottenere risultati diversi da quello giuridico. Il
mio punto, però, è che a non essere affatto minoritaria è la cultura che
il razzismo ha espresso.
Post by ***@alice.it
Emerga qua e là nei giornali,
ad esempio, o negli scritti di alcuni intellettuali (D'Annunzio...) ma
non sia tematizzato esplicitamente e anche sul piano giuridico trovi
molte difficoltà ad esser elaborato. Cosicché restava al di sotto del
livello alto, come corrente che poteva manifestarsi e offrire la base a
crescite ulteriori ma che poteva anche svanire. Anche in altri paesi
democratici (penso al Belgio, oltre che a Francia, Inghilterra e Usa)
esistette un sottofondo culturale che poteva avere involuzioni razziste
senza però giungervi.
Beh, leggi razziste, qua e là, furono anche varate: avevamo parlato
proprio su queste larghe bande della normativa statunitense in materia
di immigrazione, ma si possono aggiungere, senza essere esaustivi, le
norme sulla sterilizzazione obbligatoria presenti in alcun stati
americani e nella civilissima Svezia.
Post by ***@alice.it
dovendo per i suoi scopi accrescere il controllo gerarchico proprio per
evitare che la modernizzazione sfuggisse nel caos democratico, il
Fascismo lasciò emergere (o utilizzò rendendolo ufficiale) questo fondo.
Che trovo esca non tanto per convenienza o per opportunismo quanto
perché, a fronte degli apparenti vantaggi (e in qualche caso di vantaggi
anche non apparenti), penso soprattutto alla accresciuta mobilità
sociale oltre che all'utilizzo fondante in senso mitico della "nazione",
il razzismo poteva apparire come una marginale sciocchezza che alla
fine, riguardava solo questioni di principio o una minoranza che
appariva assai infima e che era possibile "non vedere". Gli aspetti
giuridici relativi alle colonie erano fuori dall'orizzonte della
maggioranza e dal punto di vista dell'opinione pubblica il razzismo
antisemita mi sembra più subito che accettato dalla popolazione.
Mah, è difficile chiarire questo punto dal momento che manca ancora, per
quanto ne so, un'indagine a tutto campo dell'impatto sull'opinione
pubblica della normativa antiebraica, per quanto le parzialissime
ricognizione svolte, come quella di Lepre sulla corrispondenza del tempo
di guerra, segnalano che apprezzamenti di una certa consistenza non sono
mancati; quel che è certo è che la normativa e la campagna antiebraica
poterono contare su schiere di zelanti esecutori, entusiasti propalatori
e voraci profittatori.
Post by ***@alice.it
Mentre
resta, di fondo, sia pure non espresso a parole ma espresso nei fatti
amministrativi, il razzismo interno, quello implicito nord-sud.
Per questo a mio avviso lo scarto tra periodo monarchico e fascista
resta alto.
Il fascismo aggiunge, nel senso che le dà corpo, la logica totalitaria
(uso questo termine in riferimento al fascismo nel senso chiarito da
Emilio Gentile). Se ho dato l'impressione di negare che questo salto di
qualità ci sia, mi sono davvero spiegato male.
Post by ***@alice.it
Post by Arturo
Certamente il razzismo si distingue dalla xeonofobia, ma non è che una
escluda l'altro.
Non si escludono ma dobbiamo distinguerli per non confonderli.
Altrimenti razzismo diventa tutto, compreso, come in alcuni interventi
qui, in questa discussione, il rapporto tra le classi. Credo che il
senso delle parole vada mantenuto per evitare che si disperda nella
polemica o, appunto, diventi un tema diffuso a livello della cultura
media e quasi uno slogan: che è l'uso largamente fatto, ad esempio, dai
media contemporanei e presente nel linguaggio corrente.
Su questo punto sto seguendo con un certo interesse la discussione che
sta (lodevolmente) proponendo Maurizio. Vediamo un po' dove vuole arrivare.
Post by ***@alice.it
a meno di non ritenere che il razzismo abbia una qualche realtà
fattuale, e mi pare che si concordi che non è così, le uniche
definizioni utilizzabili sono quelle storiche: di come è stato inteso il
razzismo.
Se lo intendi come scienza della razza, ripeto, hai ragione; ma è un
senso filogico che per interpretare la contemporaneità è
inutibilizzabile (e infatti inutilizzato).
Post by ***@alice.it
Post by Arturo
Sono invece in disaccordo se vuoi dire che l'antimeridionalismo nasce
come xeonofobia: direi proprio di no, non foss'altro perché viene alla
luce assai prima (e assai dopo) dell'immigrazione di massa dal sud.
avrei, cioè, una data a partire dalla quale far sorgere il razzismo
italiano e anche un ambiente. Direi che sorge negli ambienti militari
con le campagne meridionali nel periodo della repressione del
brigantaggio. Che è in fondo dire che è una fetta del nation building.
Questo razzismo, insicuro come scrivi, torna poi fuori quando
l'emigrazione produce i noti squilibri. Quindi è cronologicamente
anteriore all'emigrazione, e sono d'accordo, ma riemerge a seguito
(anche a seguito) dell'emigrazione come giustificazione facile alla
xenofobia.
Certamente riemerge durante l'emigrazione, ma mi pare contribuisca a
chiarire anche quella nota "antitaliana" del razzismo italiano e in
particolare fascista (e qui sto rispondendo ad Alberto). Nel leghismo è
molto evidente, ma anche guardando al fascismo da un lato si può, certo,
dire che Mussolini le sparava, ma anche ammesso (ma niente affatto
concesso: qui però dovrei diffondermi in lunghe citazioni defeliciane e
per il momento ho già raggiunto il mio limite;-)) che sia così,
dall'altro è un fatto che il "duce" era pure il detentore del potere di
tradurre quelle sparate in direttive politiche e normative, per cui non
possiamo trascurarle né omettere di rilevare che quelle annotate, per
esempio, da Ciano anche nel periodo in cui ancora nutriva ammirazione
per il suocero (quindi esenti dal sospetto di manipolazioni pro domo
sua) tradiscono un disprezzo per gli italiani di cui, sempre per tenerci
al pargone dell'articolo originale, all'interno del Mein Kampf, ma direi
nemmeno nelle conversazioni con i gerarchi nazisti (se non alla fine),
non si troverebbe l'analogo nei confronti dei tedeschi.

Saluti,
Arturo
Alberto
2010-02-15 17:19:53 UTC
Permalink
Arturo
2010-02-16 12:17:56 UTC
Permalink
Non so perché (possono esserci varie ragioni tecniche) il robomoderatore
ha cancellato il contenuto del post (che è arrivato in bianco anche a
me); se vuoi, rimandalo.

Saluti,
Arturo
Alberto
2010-02-16 13:00:23 UTC
Permalink
Post by Arturo
Non so perché (possono esserci varie ragioni tecniche) il robomoderatore
ha cancellato il contenuto del post (che è arrivato in bianco anche a
me); se vuoi, rimandalo.
Dicevi del mio?
Senza riscriverlo, quello che mi interessava è unchiarimento su questo
punto:
"Si sostiene cioè, secondo megiustamente, che l'origine del discorso
antimeridionalista del razzismo
italiano ne determina un'intonazione insicura, di cui il razzismo
stesso non riesce a venire completamente a capo"

Perchè ne deriva una intonazione insicura?
A me fà venire in mente che l'antimeridionalismo per il periodo
fascista è un razzismo "sbagliato",
cioè non è funzionale a creare unità.
Alberto
2010-02-12 15:46:42 UTC
Permalink
"È però rivelatore che il bersaglio delle esternazioni razziste di
Mussolini non siano direttamente gli ebrei, contro i quali sarebbe
stata rivolta la legislazione razziale in preparazione, ma
"l'Affrica", la "mediterraneità" e persino, horresco referens, la
"latinità". Il duce si vuole "nordico". "


Messa cosi, non vedo la gran scoperta.
OndaMax
2010-02-14 18:42:02 UTC
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"Alberto" ha scritto nel messaggio ...
Post by Alberto
"È però rivelatore che il bersaglio delle esternazioni razziste di
Mussolini non siano direttamente gli ebrei, contro i quali sarebbe
stata rivolta la legislazione razziale in preparazione, ma
"l'Affrica", la "mediterraneità" e persino, horresco referens, la
"latinità". Il duce si vuole "nordico". "
In realtà rivela che una componente razzista, di matrice interna e laica,
era già perfettamente operante e che tale humus non può aver certo
svantaggiato l'accettazione più estrema (fino all'ufficialità legale) di
tesi anti-semite, peraltro già circolanti in ambito cattolico e non (vedi
complotto giudaico-massonico, pluto o comunista che fosse).

In esternazioni auto-giustificatorie sull'inabilità bellica dei popoli
italici è comprensibile che non ci si potessero ficcare riferimenti
anti-ebraici ma, se anche in questo caso il bersaglio esplicito non erano
gli ebrei, è certo che le leggi razziali li hanno presi in pieno.

Ciao
OndaMax
Alberto
2010-02-14 22:52:35 UTC
Permalink
Post by OndaMax
Post by Alberto
"È però rivelatore che il bersaglio delle esternazioni razziste di
Mussolini non siano direttamente gli ebrei, contro i quali sarebbe
stata rivolta la legislazione razziale in preparazione, ma
"l'Affrica", la "mediterraneità" e persino, horresco referens, la
"latinità". Il duce si vuole "nordico".  "
In realtà rivela che una componente razzista, di matrice interna e laica,
era già perfettamente operante
Il razzismo ha una base biologica, distinguere Noi e Loro, e per
questo è una tentazione eterna dell'animo umano.
Nello specifico, se leggi Montesquieu ritrovi *identiche* le tesi
sulle bellicosità degli abitanti dei paesi freddi e sulla poltroneria
dei popoli del sud .
Per cui dire che c'era un razzismo antimeridionale prima è troppo
generico. Si rischia di concludere " chi disprezza i terroni è più
portato a odiare gli ebrei", che però è poco più di una ovvia
notazione psicologica.
In conclusione concordo con Pistone: l'antisemitismo del XX secolo ha
tratti peculiari.
OndaMax
2010-02-15 00:21:43 UTC
Permalink
"Alberto" ha scritto nel messaggio ...
Post by Alberto
Il razzismo ha una base biologica, distinguere Noi e Loro, e per
questo è una tentazione eterna dell'animo umano.
La distinzione tra Noi e Loro in realtà è una necessità culturale (legittima
e fondamentale, dal punto di vista antropologico, per l'autocoscienza
individuale e collettiva) e la biologia non le offre nessuna base
scientifica. La genetica, come tutti sappiamo, nega ogni differenza.
Immagino ti riferissi alle teorie deliranti che in passato sono state
costruite intorno alla questione della razza..
Post by Alberto
Nello specifico, se leggi Montesquieu ritrovi *identiche* le tesi
sulle bellicosità degli abitanti dei paesi freddi e sulla poltroneria
dei popoli del sud .
Per cui dire che c'era un razzismo antimeridionale prima è troppo
generico. Si rischia di concludere " chi disprezza i terroni è più
portato a odiare gli ebrei", che però è poco più di una ovvia
notazione psicologica.
Non si parlava di razzismi individuali o di competizione, ingredienti
spontanei delle guerre tra poveri. Ma di teorizzazioni più o meno
accademiche che, seguendo tortuose rielaborazioni politico-filosofiche,
finirono per essere istituzionalizzate in vari corpus iuris (contro le
popolazioni di colore e arabe dell'impero, per seguire il filo dell'articolo
di Brocchieri) per confluire poi nelle leggi razziali. Non lo ridurrei a
semplice notazione psicologica.
Post by Alberto
In conclusione concordo con Pistone: l'antisemitismo del XX secolo ha
tratti peculiari.
Questo potrebbe non essere in antitesi, ma non basterebbe nemmeno a
sostenere che l'Italia fu immune da razzismo o antisemitismo solo perchè ne
sviluppò una forma più personale e specifica.

Ciao
OndaMax ;-)
Alberto
2010-02-15 13:43:55 UTC
Permalink
Post by OndaMax
La genetica, come tutti sappiamo, nega ogni differenza.
Immagino ti riferissi alle teorie deliranti che in passato sono state
costruite intorno alla questione della razza..
No non a quello.
Il razzismo è anche una consenguenza di come avviene la selezione
naturale.
Risulta vincente il gene che riesce a unirsi con un suo simile. Ci
sono dei meccanismi
che portano a riconoscere il simile e che come prima conseguenza si ha
che l'attrazione sessuale sia rivolta ai membri della stessa specie.
Sono basati sia su come l'altro appare sia sui rituali di
corteggiamento. La divisione noi/loro viene da questo. Il caso più
puro è quando il noi si riduce al gruppo familiare allargato, ovvero
tribu/villaggio.
Post by OndaMax
Non si parlava di razzismi individuali o di competizione, ingredienti
spontanei delle guerre tra poveri. Ma di teorizzazioni più o meno
accademiche che, seguendo tortuose rielaborazioni politico-filosofiche,
Maurizio Pistone
2010-02-15 21:09:43 UTC
Permalink
Post by Alberto
Risulta vincente il gene che riesce a unirsi con un suo simile. Ci
sono dei meccanismi
Mother Nature ha inventato, alcune centinaia di milioni di anni fa, la
riproduzione sessuata, proprio perché la mescolanza dei geni è la
strategia vincente.

I sistemi troppo chiusi portano all'iperspecializzazione, che è la morte
della specie.
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
OndaMax
2010-02-16 00:02:22 UTC
Permalink
"Alberto" ha scritto nel messaggio ...
Post by Alberto
Post by OndaMax
La genetica, come tutti sappiamo, nega ogni differenza.
Il razzismo è anche una consenguenza di come avviene la selezione
naturale.
Risulta vincente il gene che riesce a unirsi con un suo simile.
Qui mi perdi ... Le immissioni dall'esterno rinforzano il pool genico, non
vedo in che senso possano risultare perdenti.
Post by Alberto
Ci sono dei meccanismi
che portano a riconoscere il simile e che come prima conseguenza si ha
che l'attrazione sessuale sia rivolta ai membri della stessa specie.
Sono basati sia su come l'altro appare sia sui rituali di
corteggiamento. La divisione noi/loro viene da questo. Il caso più
puro è quando il noi si riduce al gruppo familiare allargato, ovvero
tribu/villaggio.
Esiste un'unica specie umana, almeno da quando si sono estinti i
neanderthal, e dire che l'attrazione sessuale è rivolta di preferenza alla
stessa specie suona più o meno come dire: «preferisco le donne ai tacchini,
ai procioni o alle pecore», il che è un ovvietà anche se non è vero per
tutti .. :-)
La divisione noi/loro organizza le comunità e contribuisce certamente a
tracciare confini ma non necessariamente circoli chiusi. Antropologicamente,
il suo scopo primordiale era quello di definire e organizzare gruppi di
interesse in seno alle comunità e di consolidarli attraverso alleanze (i
matrimoni) con altri clan. Non è un criterio esclusivo di protezione ma è
anche un processo di apertura.

OndaMax
Alberto
2010-02-16 11:54:30 UTC
Permalink
Post by OndaMax
La divisione noi/loro organizza le comunità e contribuisce certamente a
tracciare confini ma non necessariamente circoli chiusi
I sistemi troppo chiusi portano all'iperspecializzazione, che è la morte
della specie.

Il meccanismo non è perfettamente efficente, il che risponde
all'obiezione sui sistemi troppo chiusi. Può diventare troppo chiuso
solo se è molto efficente, ma cosi non è.
Esempio: è sicurissimo che è vincente fare più figli possibili, ma
da questo non si può certo dedurre che le donne sterili non risultino
attraenti, ma piuttosto che quelle che *sembrano* più fertili sono più
attraenti.
L'individuo può basarsi solo su segni esterni , per esempio il colore
della pelle. Ma non ha modo di accorgersi, per esempio, che i sardi
hanno una notevole differenza genetica rispetto agli altri italiani,
perchè è una differenza che si esprime molto poco in segni
riconoscibili.
Maurizio Pistone
2010-02-16 16:45:38 UTC
Permalink
Post by Alberto
Il meccanismo non è perfettamente efficente, il che risponde
all'obiezione sui sistemi troppo chiusi. Può diventare troppo chiuso
solo se è molto efficente, ma cosi non è.
un sistema chiuso è un sistema che si adatta alle condizioni di un
ambiente molto peculiare; a questo punto, basta un minimo cambiamento
dell'ambiente per portare la specie al collasso.

La specie umana è caratterizzata da sempre da un alto grado di mobilità,
e di adattamento (culturale) agli ambienti più diversi. Questo ha come
conseguenze un'alta probabilità di incroci fra gruppi diversi. La specie
umana è di conseguensa una delle meno specializzate, e questo è uno dei
motivi della sua enorme diffusione. I pochi gruppi umani che vivono in
ambienti chiusi, ed hanno sviluppato caratteristiche molto particolari
(es. i pigmei) sono tutti a rischi di estinzione.

L'uomo è un animale nomade.
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
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marco.menicocci@alice.it
2010-02-15 19:26:51 UTC
Permalink
Post by OndaMax
La distinzione tra Noi e Loro in realtà è una necessità culturale
(legittima e fondamentale, dal punto di vista antropologico, per
l'autocoscienza individuale e collettiva) e la biologia non le offre
nessuna base scientifica.
Certamente la distinzione noi-loro è una funzione culturale e non biologica.
Su questo non discuto. E' l'espressione "fondamentale" dal punto di vista
antropologico che mi lascia perplesso.
Significa che le unità culturali, quali che siano (gruppi, singoli...),
debbono "fondamentalmente" distinguersi per collaborare? O per competere? o
per entrambe le cose? L'autocoscienza produce un diverso per opporvisi? Mi
pare una questione importante nel contesto della discussione che stiamo
svolgendo, nella quale l'altro era razzialmente inteso come diverso in
peggio.
marco
OndaMax
2010-02-16 00:40:55 UTC
Permalink
Post by ***@alice.it
Post by OndaMax
La distinzione tra Noi e Loro in realtà è una necessità culturale
(legittima e fondamentale, dal punto di vista antropologico, per
l'autocoscienza individuale e collettiva) e la biologia non le offre
nessuna base scientifica.
Certamente la distinzione noi-loro è una funzione culturale e non
biologica. Su questo non discuto. E' l'espressione "fondamentale" dal
punto di vista antropologico che mi lascia perplesso.
Significa che le unità culturali, quali che siano (gruppi, singoli...),
debbono "fondamentalmente" distinguersi per collaborare? O per competere?
o per entrambe le cose? L'autocoscienza produce un diverso per opporvisi?
Mi pare una questione importante nel contesto della discussione che stiamo
svolgendo, nella quale l'altro era razzialmente inteso come diverso in
peggio.
La distinzione noi/loro è fondamentale nel processo di creazione
dell'«Identità». Questo è un valore relazionale, non assoluto, che determina
nuclei di interesse che collaborano per fini comuni. E' un processo
primordiale che non ha nulla di negativo in se, a patto che l'«Alterità» non
venga usata come specchio per costruire una versione idealogica di se stessi
(es. lo stereotipo dell'ebreo volto a valorizzare l'identità ariana) e che,
come nel caso in discussione, non diventi un atto impositivo (le leggi
razziali). L'Identità è un processo continuo e di libera adesione.
In quanto al contesto relazionale, spero di aver chiarito nella risposta ad
Alberto (gli scopi associativi non sono necessariamente di opposizione
esterna ma tendono al contrario a contrarre alleanze attraverso pratiche
matrimoniali dal quale trarre miglioramenti sociali ed economici).

Ciao
OndaMax
Maurizio Pistone
2010-02-15 21:13:23 UTC
Permalink
Per introdurre un discorsino un po' lunghetto che sto preparando,
propongo di distinguere due tipi di razzismo.

Vi è un razzismo che (per brevità, qui lo dico e qui lo nego) chiamo
funzionale.

Vi è poi un razzismo strutturale (id.).

Intendo per razzismo funzionale una forma di razzismo (per lo più
verbale) che serve solo da supporto ad altri discorsi. Per esempio, dire
che in Sicilia la mafia è invincibile perché i siciliani sono mafiosi
per natura. Chi dice questo naturalmente non ha il progetto di chiudere
i siciliani in un ghetto, proibire i matrimoni fra siciliani e
continentali ecc. Molto probabilmente sta solo meditando di stringere
patti con la mafia, con la scusa che tanto la mafia è invincibile. Un
simile razzismo naturalmente non sente il minimo bisogno di coerenza o
roba del genere. Lo stesso tizio all'indomani può dire che i veneti sono
tutti avvinazzati ecc. per qualche altro motivo.

Un razzismo di questo genere può servire anche a finalità, diciamo così,
più nobili. Tacito attribuiva ai Germani una innata bellicosità ecc.,
che i romani degeneri del suo tempo avevano perso. Ma il suo discorso
serviva a sostenere il partito senatorio, nostalgico del buon tempo
antico quando gli imperatori non pretendevano di imperare troppo e
lasciavano le istituzioni della Res Publica nelle mani di boriosi
palazzinari in toga.

Dalle citazioni che ho sentito, mi sembra che il razzismo di Mussolini
verso i meridionali ecc. sia un po' dello stesso genere. Un giorno se la
prendeva con i meridionali, l'altro giorno se la prendeva con gli
inglesi, tanto, il bello di essere Mussolini, è che puoi dire la prima
cazzata che ti passa per la testa, ci sarà sempre qualcuno che ti prende
sul serio.

Invece il razzismo strutturale è quello che ha proprio la finalità di
perseguitare un gruppo umano considerato nemico.

Hitler non raccontava barzellette sugli ebrei per far ridere i lupetti
della HitlerJugend. Hitler pensava seriamente che fosse sacro dovere suo
e di tutto il popolo tedesco sradicare la pianta di Giuda dalla faccia
della terra.

Naturalmente, come sempre, tra le due cose non c'è un confine
nettissimo. Tra le barzellette ginnasiali sui cinesi che ce l'hanno
piccolo, e Auschwitz, c'è un'infinito arco di gradi intermedi.

Alcuni sono molto abili a mettersi proprio a cavallo della linea di
confine. La Lega Nord, per esempio, un po' racconta le barzellette sui
meridionali per ottenere qualche assessorato provinciale nelle Prealpi,
un po' dà l'assalto ai campi Rom perché Berghezio perde il pelo ma non
il vizio. Questa sorta di equilibrismo è l'unica abilità di una
formazione politica per il resto composta di subnormali che hanno
passato la giovinezza a incidere parolacce sui banchi di scuola.
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
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Ghigo Il Geco
2010-03-26 19:04:54 UTC
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On Feb 8, 3:17 pm, Arturo <***@yahoo.it> wrote:
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